Catone in Utica, Roma, Bernabò, 1728

 SCENA VII
 
 EMILIA e FULVIO
 
 EMILIA
 Quanto da te diverso
345io ti riveggo o Fulvio; e chi ti rese
 di Cesare seguace, a me nemico?
 FULVIO
 Allorch'io servo a Roma
 non son nemico a te. Troppo ho nell'alma
 de' pregi tuoi la bella imago impressa.
350E s'io men di rispetto
 avessi al tuo dolor, direi che ancora
 Emilia m'innamora,
 che adesso ardo per lei qual arsi pria
 che la sventura mia
355a Pompeo la donasse; e le direi
 ch'è bella anche nel duolo agli occhi miei.
 EMILIA
 Mal si accordano insieme
 di Cesare l'amico
 e l'amante d'Emilia; o lui difendi
360o vendica il mio sposo; a questo prezzo
 ti permetto che m'ami.
 FULVIO
                                             (Ah che mi chiede?
 Si lusinghi).
 EMILIA
                          Che pensi?
 FULVIO
 Penso che non dovresti
 dubitar di mia fé.
 EMILIA
                                    Dunque sarai
365ministro del mio sdegno?
 FULVIO
                                                 Un tuo comando
 prova ne faccia.
 EMILIA
                                Io voglio
 Cesare estinto. Or posso
 di te fidarmi?
 FULVIO
                             Ogn'altra man sarebbe
 men fida della mia.
 EMILIA
                                       Questo per ora
370da te mi basta. Inosservati altrove
 i mezzi a vendicarmi
 sceglier potremo.
 FULVIO
                                   Intanto
 potrò spiegarti almeno
 tutti gli affetti miei.
 EMILIA
                                       Non è ancor tempo
375che tu parli d'amore e ch'io t'ascolti.
 Pria si adempia il disegno e allor più lieta
 forse ti ascolterò. Qual mai può darti
 speranza un'infelice
 cinta di bruno ammanto,
380con l'odio in petto e su le ciglia il pianto?
 FULVIO
 
    Piangendo ancora
 rinascer suole
 la bella aurora
 nunzia del sole
385e pur conduce
 sereno il dì.
 
    Tal fra le lagrime
 fatta serena,
 può da quest'anima
390fugar la pena
 la cara luce
 che m'invaghì. (Parte)