Catone in Utica, Roma, Bernabò, 1728

 SCENA IV
 
 MARZIA, poi EMILIA, indi CESARE
 
 MARZIA
 E qual sorte è la mia! Di pena in pena,
830di timore in timor passo e non provo
 un momento di pace.
 EMILIA
                                          Alfin partito
 è Cesare da noi. So già che invano
 in difesa di lui
 Marzia e Fulvio sudò ma giovò poco
835e di Fulvio e di Marzia
 a Cesare il favor. Come sofferse
 quell'eroe sì gran torto?
 Che disse? Che farà? Tu lo saprai,
 tu che sei tanto alla sua gloria amica.
 MARZIA
840Ecco Cesare istesso, egli tel dica. (Vedendo venire Cesare)
 EMILIA
 Che veggo!
 CESARE
                        A tanto eccesso
 giunse Catone? E qual dover, qual legge
 può render mai la sua ferocia doma?
 È il Senato un vil gregge?
845È Cesare un tiranno? Ei solo è Roma!
 EMILIA
 E disse il vero.
 CESARE
                              Ah questo è troppo. Ei vuole
 che sian l'armi e la sorte
 giudici fra di noi? Saranno; ei brama
 che al mio campo mi renda?
850Io vo, di' che m'aspetti e si difenda. (In atto di partire)
 MARZIA
 Deh ti placa, il tuo sdegno in parte è giusto,
 il veggo anch'io, ma il padre
 a ragion dubitò, de' suoi sospetti
 m'è nota la cagion, tutto saprai.
 EMILIA
855(Numi che ascolto!)