Catone in Utica, Venezia, Buonarigo, 1729

 SCENA PRIMA
 
  Parte interna delle mura di Utica con porte della città in prospetto, chiusa da un ponte che poi s’abbassa.
 
 CATONE, MARZIA, ARBACE
 
 MARZIA
 Perché sì mesto o padre? Oppressa è Roma
 se giunge a vacillar la tua costanza.
 Parla; al cor d'una figlia
 la sventura maggiore
5di tutte le sventure è il tuo dolore.
 ARBACE
 Signor che pensi? In quel silenzio appena
 riconosco Catone. Ov'è lo sdegno
 figlio di tua virtù? Dov'è il coraggio?
 Dove l'anima intrepida e feroce?
10Ah se del tuo gran core
 l'ardir primiero è in qualche parte estinto
 non v'è più libertà, Cesare ha vinto.
 CATONE
 Figlia, amico, non sempre
 la mestizia, il silenzio
15è segno di viltade e agl'occhi altrui
 si confondon sovente
 la prudenza e il timor; se penso e taccio,
 taccio e penso a ragion; tutto ha sconvolto
 di Cesare il furor. Per lui Farsaglia
20è di sangue civil tiepida ancora.
 Per lui più non s'adora
 Roma, il Senato, al di cui cenno un giorno
 tremava il Parto, impallidia lo Scita.
 Da barbara ferita
25per lui sugli occhi al traditor di Egitto
 cadde Pompeo trafitto. E solo in queste
 d'Utica anguste mura
 mal sicuro riparo
 trova alla sua ruina
30la fuggitiva libertà latina.
 Cesare abbiamo a fronte
 che d'assedio ne stringe. I nostri armati
 pochi sono e mal fidi; in me ripone
 la speme che le avanza
35Roma che geme al suo tiranno in braccio;
 e chiedete ragion s'io penso e taccio?
 MARZIA
 Ma non viene a momenti
 Cesare a te?
 ARBACE
                          Di favellarti ei chiede,
 dunque pace vorrà.
 CATONE
                                      Sperate invano
40che abbandoni una volta
 il desio di regnar; troppo gli costa
 per deporlo in un punto.
 MARZIA
 Chi sa! Figlio è di Roma
 Cesare ancor.
 CATONE
                            Ma un dispietato figlio
45che serva la desia, ma un figlio ingrato
 che per domarla appieno
 non sente orror nel lacerarle il seno.
 ARBACE
 Tutta Roma non vinse
 Cesare ancora. A superar gli resta
50il riparo più forte al suo furore.
 CATONE
 E che gli resta mai?
 ARBACE
                                       Resta il tuo core.
 E se dal tuo consiglio
 regolati saranno, ultima speme
 non sono i miei Numidi.
 CATONE
55M'è noto e il più nascondi
 tacendo il tuo valor, l'anima grande
 a cui fuor che la sorte
 d'esser figlia di Roma altro non manca.
 ARBACE
 Deh tu signor correggi
60questa colpa non mia; la tua virtude
 nel sen di Marzia io da gran tempo adoro.
 Nuovo legame aggiungi
 alla nostra amistà; soffri ch'io porga
 di sposo a lei la mano,
65non mi sdegni la figlia e son romano.
 MARZIA
 Come! Allor che paventa
 la nostra libertà l'ultimo fato,
 che a' nostri danni armato
 arde il mondo di bellici furori
70parla Arbace di nozze e chiede amori?
 CATONE
 Deggion le nozze, o figlia,
 più al pubblico riposo
 che alla scelta servir del genio altrui.
 Con tal cambio di affetti
75si meschiano le cure. Ognun difende
 parte di sé nell'altro, onde muniti
 di nodo sì tenace
 crescon gl'imperi e stanno i regni in pace.
 ARBACE
 Felice me se approva
80al par di te con men turbate ciglia
 Marzia gli affetti miei.
 CATONE
                                            Marzia è mia figlia.
 MARZIA
 E tu signor vorrai
 che la tua prole istessa, una che nacque
 cittadina di Roma e fu nudrita
85all'aura trionfal del Campidoglio
 scenda al nodo d'un re?
 ARBACE
                                              (Che bell'orgoglio!)
 CATONE
 Come cangia la sorte
 si cangiano i costumi. In ogni tempo
 tanto fasto non giova e a te non lice
90esaminar la volontà del padre.
 Principe non temer, fra poco avrai
 Marzia tua sposa. In queste braccia intanto
 del mio paterno amore
 prendi il pegno primiero e ti rammenta
95ch'oggi Roma è tua patria. Il tuo dovere
 or che romano sei
 è di salvarla o di cader con lei.
 
    Con sì bel nome in fronte
 combatterai più forte
100rispetterà la sorte
 di Roma un figlio in te.