Catone in Utica, Venezia, Buonarigo, 1729, II edizione

 SCENA V
 
 FULVIO e detti
 
 FULVIO
                                        Ormai
 consolati signor, la tua fortuna
 degna è d'invidia. Ad ascoltarti alfine
 scende Catone. Io di favor sì grande
 la novella ti reco.
 CESARE
                                  E così presto
785si cangiò di pensiero?
 FULVIO
                                           Anzi il suo pregio
 è l'animo ostinato.
 Ma il popolo adunato,
 i compagni, gli amici, Utica intera
 desiosa di pace a forza ha svelto
790il consenso da lui.
 MARZIA
                                   Signor che pensi?
 Una privata offesa ah non seduca
 il tuo gran cor, vanne a Catone e insieme
 fatti amici serbate
 tanto sangue latino.
 CESARE
                                       Ah Marzia...
 MARZIA
                                                                Io dunque
795a muoverti a pietà non son bastante?
 EMILIA
 (Più dubitar non posso, è Marzia amante).
 FULVIO
 Eh che non è più tempo
 che si parli di pace, a vendicarci
 andiam coll'armi, il rimaner che giova?
 CESARE
800No, facciam del suo cor l'ultima prova.
 FULVIO
 Come!
 MARZIA
                (Respiro).
 EMILIA
                                     Or vanta
 vile che sei quel tuo gran cor. Ritorna
 supplice a chi t'offende e fingi a noi
 ch'è rispetto il timor.
 CESARE
                                         Chi può gli oltraggi
805vendicar con un cenno e si raffrena
 vile non è. Marzia di nuovo al padre
 vuo' chieder pace e soffrirò fintanto
 ch'io perda di placarlo ogni speranza.
 Ma se tanto s'avvanza
810l'orgoglio in lui che non si pieghi, allora
 non so dirti a qual segno
 giunger potrebbe un trattenuto sdegno.
 
    Soffre talor del vento
 i primi insulti il mare.
815Né a cento legni e cento
 che van per l'onde chiare
 intorbida il sentier.
 
    Ma poi se il vento abbonda
 il mar s'inalza e freme
820e colle navi affonda
 tutta la ricca speme
 dell'avido nochier.