Catone in Utica, Venezia, Buonarigo, 1729, II edizione

 SCENA VI
 
 CESARE e detti
 
 CESARE
1350Ecco d'Iside il fonte. Ai noti segni
 questo il varco sarà. Floro. M'ascolti?
 Floro. Nol veggio più. Fin qui condurmi
 poi dileguarsi! Io fui
 troppo incauto in fidarmi. Eh non è questo
1355il primo ardir felice. Io di mia sorte
 feci in rischio maggior più certa prova. (Nell’entrar s’incontra in Emilia che esce dagli acquedoti)
 EMILIA
 Ma questa volta il suo favor non giova.
 CESARE
 Emilia!
 EMILIA
                  È giunto il tempo
 delle vendete mie.
 CESARE
                                     Fulvio ha potuto
1360ingannarmi così?
 EMILIA
                                   No, dell'inganno
 tutta la gloria è mia. Della sua fede
 giurata a te contro di te mi valsi
 perché impedisse il tuo ritorno al campo.
 A Fulvio io figurai
1365d'Utica su le porte i tuoi perigli.
 Per condurti ove sei, Floro io mandai
 con simulato zelo a palesarti
 questa incognita strada. Or dal mio sdegno
 se puoi t'invola.
 CESARE
                                Un feminil pensiero
1370quanto giunge a tentar!
 EMILIA
                                              Forse volevi
 che insensati gli dei sempre i tuoi falli
 soffrissero così? Che sempre il mondo
 pianger dovesse in servitù dell'empio
 suo barbaro oppressor? Che l'ombra grande
1375del tradito Pompeo
 eternamente invendicata errasse?
 Folle. Contro i malvaggi
 quando più gli assicura
 allor le sue vendette il ciel matura.
 CESARE
1380Alfin che chiedi?
 EMILIA
                                  Il sangue tuo.
 CESARE
                                                             Sì lieve
 non è l'impresa.
 EMILIA
                                 Or lo vedremo. Amici
 l'usurpator svenate. (Esce la gente)
 CESARE
 Prima voi caderete. (Cava la spada)