Catone in Utica, Parigi, Quillau, 1755

 SCENA IV
 
  Parte interna delle mura di Utica con porta della città in prospetto chiusa da un ponte che poi si abbassa.
 
 CATONE, poi CESARE e FULVIO
 
 CATONE
 Dunque Cesare venga. Io non intendo
180qual cagion lo conduca. È inganno? È tema?
 No d'un romano in petto
 non giunge a tanto ambizion d'impero
 che dia ricetto a così vil pensiero. (Cala il ponte e si vede venir Cesare e Fulvio)
 CESARE
 Con cento squadre e cento
185a mia difesa armate in campo aperto
 non mi presento a te. Senz'armi e solo
 sicuro di tua fede
 fra le mura nemiche io porto il piede.
 Tanto Cesare onora
190la virtù di Catone emulo ancora.
 CATONE
 Mi conosci abbastanza, onde in fidarti
 nulla più del dovere a me rendesti.
 Di che temer potresti?
 In Egitto non sei; qui delle genti
195si serba ancor l'universal ragione;
 né vi son Tolomei dov'è Catone.
 CESARE
 È ver, noto mi sei. Già il tuo gran nome
 fin da' prim'anni a venerare appresi.
 In cento bocche intesi
200della patria chiamarti
 padre e sostegno e delle antiche leggi
 rigido difensor. Fu poi la sorte
 prodiga all'armi mie del suo favore.
 Ma l'acquisto maggiore,
205per cui contento ogni altro acquisto io cedo,
 è l'amicizia tua; questa ti chiedo.
 FULVIO
 E il Senato la chiede; a voi m'invia
 nuncio del suo volere. È tempo ormai
 che da' privati sdegni
210la combattuta patria abbia riposo.
 Scema d'abitatori
 è già l'Italia afflitta; alle campagne
 già mancano i cultori;
 manca il ferro agli aratri, in uso d'armi
215tutto il furor converte; e mentre Roma
 con le sue mani il proprio sen divide,
 gode l'Asia incostante, Africa ride.
 CATONE
 Chi vuol Catone amico
 facilmente l'avrà; sia fido a Roma.
 CESARE
220Chi più fido di me! Spargo per lei
 il sudor da gran tempo e il sangue mio.
 Son io quegli, son io che sugli alpestri
 gioghi del Tauro, ov'è più al ciel vicino,
 di Marte e di Quirino
225fe' risuonar la prima volta il nome.
 Il gelido Britanno
 per me le ignote ancora
 romane insegne a venerare apprese;
 e dal clima remoto
230se venni poi...
 CATONE
                             Già tutto il resto è noto.
 Di tue famose imprese
 godiamo i frutti e in ogni parte abbiamo
 pegni dell'amor tuo. Dunque mi credi
 mal accorto così ch'io non ravvisi
235velato di virtude il tuo disegno?
 So che il desio di regno,
 che il tirannico genio, onde infelici
 tanti hai reso fin qui...
 FULVIO
                                            Signor, che dici?
 Di ricomporre i disuniti affetti
240non son queste le vie; di pace io venni,
 non di risse ministro.
 CATONE
                                          E ben si parli.
 (Udiam che dir potrà).
 FULVIO
                                             (Tanta virtude
 troppo acerbo lo rende). (A Cesare)
 CESARE
 (Io l'ammiro però, se ben m'offende). (A Fulvio)
245Pende il mondo diviso
 dal tuo, dal cenno mio; sol che la nostra
 amicizia si stringa il tutto è in pace.
 Se del sangue latino
 qualche pietà pur senti, i sensi miei
250placido ascolterai.