Catone in Utica, Parigi, Quillau, 1755

 SCENA XIV
 
 MARZIA ed EMILIA
 
 EMILIA
 Se manca Arbace alla promessa fede
 è Cesare l'indegno
610che l'ha sedotto.
 MARZIA
                                I tuoi sospetti affrena.
 È Cesare incapace
 di cotanta viltà benché nemico.
 EMILIA
 Tu nol conosci, è un empio; ogni delitto,
 pur che giovi a regnar, virtù gli sembra.
 MARZIA
615E pur sì fidi e numerosi amici
 adorano il suo nome.
 EMILIA
                                         È de' malvagi
 il numero maggior; gli unisce insieme
 delle colpe il commercio, indi a vicenda
 si soffrono tra loro; e i buoni anch'essi
620si fan rei coll'esempio o sono oppressi.
 MARZIA
 Queste massime, Emilia,
 lasciam per ora e favelliam fra noi.
 Dimmi; non prese l'armi
 lo sposo tuo per gelosia d'impero?
625E a te, palesa il vero,
 questa idea di regnar forse dispiacque?
 S'era Cesare il vinto,
 l'ingiusto era Pompeo. La sorte accusa.
 È grande il colpo, il veggio anch'io, ma alfine
630non è reo d'altro errore
 che d'esser più felice il vincitore.
 EMILIA
 E ragioni così? Che più diresti
 Cesare amando? Ah ch'io ne temo e parmi
 che il tuo parlar lo dica.
 MARZIA
635E puoi creder che l'ami una nemica?
 EMILIA
 
    Un certo non so che
 veggo negli occhi tuoi;
 tu vuoi che amor non sia,
 sdegno però non è.
 
640   Se fosse amor, l'affetto
 estingui o cela in petto.
 L'amar così saria
 troppo delitto in te. (Parte)