Catone in Utica, Torino, Reale, 1757

 SCENA XIII
 
 ARBACE e detti
 
 ARBACE
 Signor, so che a momenti
1175pugnar si deve. Imponi
 che far degg'io. Senz'aspettar l'aurora,
 ogn'ingiusto sospetto a render vano,
 vengo sposo di Marzia, ecco la mano.
 (Mi vendico così).
 CATONE
                                    Nol dissi, o figlia?
 MARZIA
1180Temo, Arbace, ed ammiro
 l'incostante tuo cor.
 ARBACE
                                      D'ogni riguardo
 disciolto io sono e la ragion tu sai.
 MARZIA
 (Ah mi scopre).
 ARBACE
                                A Catone
 deggio un pegno di fede in tal periglio.
 CATONE
1185Che tardi? (A Marzia)
 EMILIA
                        (Che farà?)
 MARZIA
                                                (Numi, consiglio).
 EMILIA
 Marzia, ti rasserena.
 MARZIA
 Emilia, taci.
 ARBACE
                          Or mia sarai. (A Marzia)
 MARZIA
                                                     (Che pena!)
 CATONE
 Più non s'aspetti. A lei
 porgi Arbace la destra.
 ARBACE
                                            Eccola; in dono
1190il cor, la vita, il soglio
 così presento a te.
 MARZIA
                                    Va'; non ti voglio.
 ARBACE
 Come!
 EMILIA
                (Che ardir!)
 CATONE
                                         Perché? (A Marzia)
 MARZIA
                                                          Finger non giova;
 tutto dirò. Mai non mi piacque Arbace,
 mai nol soffersi, egli può dirlo. Ei chiese
1195il differir le nozze
 per cenno mio. Sperai che alfin più saggio
 l'autorità d'un padre
 impegnar non volesse a far soggetti
 i miei liberi affetti.
1200Ma già che sazio ancora
 non è di tormentarmi e vuol ridurmi
 a un estremo periglio,
 a un estremo rimedio anch'io m'appiglio.
 CATONE
 Son fuor di me. Donde tant'odio e donde
1205tanta audacia in costei? (Ad Emilia e ad Arbace)
 EMILIA
                                               Forse altro foco
 l'accenderà.
 ARBACE
                         Così non fosse.
 CATONE
                                                      E quale
 de' contumaci amori
 sarà l'oggetto?
 ARBACE
                             Oh dio!
 EMILIA
                                              Chi sa?
 CATONE
                                                              Parlate.
 ARBACE
 Il rispetto...
 EMILIA
                         Il decoro...
 MARZIA
1210Tacete, io lo dirò. Cesare adoro.
 CATONE
 Cesare!
 MARZIA
                  Sì. Perdona,
 amato genitor; di lui m'accesi
 pria che fosse nemico; io non potei
 sciogliermi più. Qual è quel cor capace
1215d'amare e disamar quando gli piace?
 CATONE
 Che giungo ad ascoltar!
 MARZIA
                                             Placati e pensa
 che le colpe d'amor...
 CATONE
                                         Togliti, indegna,
 togliti agli occhi miei.
 MARZIA
                                          Padre...
 CATONE
                                                           Che padre?
 D'una perfida figlia
1220ch'ogni rispetto obblia, che in abbandono
 mette il proprio dover, padre non sono.
 MARZIA
 Ma che feci? Agli altari
 forse i numi involai? Forse distrussi
 con sacrilega fiamma il tempio a Giove?
1225Amo alfine un eroe di cui superba
 sopra i secoli tutti
 va la presente etade, il cui valore
 gli astri, la terra, il mar, gli uomini, i numi
 favoriscono a gara; onde se l'amo
1230o che rea non son io
 o il fallo universale approva il mio.
 CATONE
 Scellerata, il tuo sangue... (In atto di ferir Marzia)
 ARBACE
                                                  Ah no, t'arresta.
 EMILIA
 Che fai? (A Catone)
 ARBACE
                    Mia sposa è questa.
 CATONE
                                                          Ah prence! Ah ingrata!
 Amare un mio nemico?
1235Vantarlo in faccia mia? Stelle spietate,
 a quale affanno i giorni miei serbate!
 
    Dovea svenarti allora (A Marzia)
 che apristi al dì le ciglia.
 Dite, vedeste ancora (Ad Emilia e ad Arbace)
1240un padre ed una figlia
 perfida al par di lei,
 misero al par di me?
 
    L'ira soffrir saprei
 d'ogni destin tiranno.
1245A questo solo affanno
 costante il cor non è. (Parte)