Catone in Utica, Parigi, Hérissant, 1780

 SCENA PRIMA
 
 Sala d’armi.
 
 CATONE, MARZIA, ARBACE
 
 MARZIA
 Perché sì mesto, o padre? Oppressa è Roma,
 se giunge a vacillar la tua costanza.
 Parla; al cor d'una figlia
 la sventura maggiore
5di tutte le sventure è il tuo dolore.
 ARBACE
 Signor, che pensi? In quel silenzio appena
 riconosco Catone. Ov'è lo sdegno
 figlio di tua virtù? Dov'è il coraggio?
 Dove l'anima intrepida e feroce?
10Ah, se del tuo gran core
 l'ardir primiero è in qualche parte estinto,
 non v'è più libertà, Cesare ha vinto.
 CATONE
 Figlia, amico, non sempre
 la mestizia, il silenzio
15è segno di viltade; e agli occhi altrui
 si confondon sovente
 la prudenza e il timor. Se penso e taccio,
 taccio e penso a ragion. Tutto ha sconvolto
 di Cesare il furor. Per lui Farsaglia
20è di sangue civil tepida ancora;
 per lui più non si adora
 Roma, il Senato, al di cui cenno un giorno
 tremava il Parto, impallidia lo Scita;
 da barbara ferita
25per lui sugli occhi al traditor d'Egitto
 cadde Pompeo trafitto; e solo in queste
 d'Utica anguste mura
 mal sicuro riparo
 trova alla sua ruina
30la fuggitiva libertà latina.
 Cesare abbiamo a fronte
 che d'assedio ne stringe; i nostri armati
 pochi sono e mal fidi. In me ripone
 la speme che le avanza
35Roma che geme al suo tiranno in braccio;
 e chiedete ragion s'io penso e taccio?
 MARZIA
 Ma non viene a momenti
 Cesare a te?
 ARBACE
                          Di favellarti ei chiede;
 dunque pace vorrà.
 CATONE
                                      Sperate invano
40che abbandoni una volta
 il desio di regnar. Troppo gli costa,
 per deporlo in un punto.
 MARZIA
 Chi sa; figlio è di Roma
 Cesare ancor.
 CATONE
                            Ma un dispietato figlio
45che serva la desia, ma un figlio ingrato
 che, per domarla appieno,
 non sente orror nel lacerarle il seno.
 ARBACE
 Tutta Roma non vinse
 Cesare ancora. A superar gli resta
50il riparo più forte al suo furore.
 CATONE
 E che gli resta mai?
 ARBACE
                                       Resta il tuo core.
 Forse più timoroso
 verrà dinanzi al tuo severo ciglio
 che all'Asia tutta ed all'Europa armata.
55E, se dal tuo consiglio
 regolati saranno, ultima speme
 non sono i miei Numidi. Hanno altre volte
 sotto duce minor saputo anch'essi
 all'aquile latine in questo suolo
60mostrar la fronte e trattenere il volo.
 CATONE
 M'è noto; e il più nascondi
 tacendo il tuo valor, l'anima grande
 a cui, fuor che la sorte
 d'esser figlia di Roma, altro non manca.
 ARBACE
65Deh tu, signor, correggi
 questa colpa non mia. La tua virtude
 nel sen di Marzia io da gran tempo adoro;
 nuovo legame aggiungi
 alla nostra amistà; soffri ch'io porga
70di sposo a lei la mano;
 non mi sdegni la figlia e son romano.
 MARZIA
 Come! Allor che paventa
 la nostra libertà l'ultimo fato,
 che a' nostri danni armato
75arde il mondo di bellici furori,
 parla Arbace di nozze e chiede amori?
 CATONE
 Deggion le nozze, o figlia,
 più al pubblico riposo
 che alla scelta servir del genio altrui.
80Con tal cambio d'affetti
 si meschiano le cure. Ognun difende
 parte di sé nell'altro; onde muniti
 di nodo sì tenace
 crescon gl'imperi e stanno i regni in pace.
 ARBACE
85Felice me, se approva
 al par di te con men turbate ciglia
 Marzia gli affetti miei.
 CATONE
                                            Marzia è mia figlia.
 MARZIA
 Perché tua figlia io sono e son romana,
 custodisco gelosa
90le ragioni, il decoro
 della patria e del sangue. E tu vorrai
 che la tua prole istessa, una che nacque
 cittadina di Roma e fu nudrita
 all'aura trionfal del Campidoglio,
95scenda al nodo d'un re?
 ARBACE
                                              (Che bell'orgoglio!)
 CATONE
 Come cangia la sorte
 si cangiano i costumi. In ogni tempo
 tanto fasto non giova; e a te non lice
 esaminar la volontà del padre.
100Principe, non temer; fra poco avrai
 Marzia tua sposa. In queste braccia intanto (Catone abbraccia Arbace)
 del mio paterno amore
 prendi il pegno primiero e ti rammenta
 ch'oggi Roma è tua patria. Il tuo dovere,
105or che romano sei,
 è di salvarla o di cader con lei.
 
    Con sì bel nome in fronte
 combatterai più forte;
 rispetterà la sorte
110di Roma un figlio in te.
 
    Libero vivi; e, quando
 tel nieghi il fato ancora,
 almen come si mora
 apprenderai da me. (Parte)