Catone in Utica, Parigi, Hérissant, 1780

 SCENA IV
 
 MARZIA, poi EMILIA, indi CESARE
 
 MARZIA
 E qual sorte è la mia! Di pena in pena,
830di timore in timor passo e non provo
 un momento di pace.
 EMILIA
                                          Alfin partito
 è Cesare da noi. So già che invano
 in difesa di lui
 Marzia e Fulvio sudò; ma giovò poco
835e di Fulvio e di Marzia
 a Cesare il favor. Come sofferse
 quell'eroe sì gran torto?
 Che disse? Che farà? Tu lo saprai,
 tu che sei tanto alla sua gloria amica.
 MARZIA
840Ecco Cesare istesso; egli tel dica. (Vedendo venir Cesare)
 EMILIA
 Che veggo!
 CESARE
                        A tanto eccesso
 giunse Catone! E qual dover, qual legge
 può render mai la sua ferocia doma?
 È il Senato un vil gregge;
845è Cesare un tiranno; ei solo è Roma!
 EMILIA
 E disse il vero.
 CESARE
                              Ah questo è troppo. Ei vuole
 che sian l'armi e la sorte
 giudici fra di noi? Saranno. Ei brama
 che al mio campo mi renda?
850Io vo. Di' che m'aspetti e si difenda. (In atto di partire)
 MARZIA
 Deh ti placa. Il tuo sdegno in parte è giusto;
 il veggo anch'io; ma il padre
 a ragion dubitò. De' suoi sospetti
 mi è nota la cagion; tutto saprai.
 EMILIA
855(Numi, che ascolto!)