Ezio, Venezia, Buonarigo, 1728

 SCENA VI
 
 Camere imperiali istoriate di pitture.
 
 ONORIA e VARO
 
 ONORIA
 Del vincitor ti chiedo
315non delle sue vittorie, esse abbastanza
 note mi son. Con qual sembiante accolse
 l'applauso popolar? Serbava in volto
 la guerriera fierezza? Il suo trionfo
 gli accrebbe fasto o mansueto il rese?
320Questo narrami, o Varo, e non l'imprese.
 VARO
 Onoria, a me perdona
 se degli acquisti suoi più che di lui
 la germana di Augusto
 curiosa io credei. Sembrano queste
325sì minute richieste
 d'amante più che di sovrana.
 ONORIA
                                                       È troppa
 questa del nostro sesso
 misera servitù. Due volte appena
 si ode dai labri nostri
330un nome replicar che siamo amanti.
 Parlano tanti e tanti
 del suo valor, delle sue gesta e vanno
 d'Ezio incontro al ritorno, Onoria sola
 nel soggiorno è rimasta,
335non vi accorse, nol vide e pur non basta.
 VARO
 Un soverchio ritegno
 anche d'amore è segno.
 ONORIA
                                             Alla tua fede,
 al tuo lungo servir tolero o Varo
 il parlarmi così. Ma la distanza,
340ch'è dal suo grado al mio, teco dovrebbe
 difendermi abbastanza.
 VARO
                                              Ognuno ammira
 d'Ezio il valor, Roma l'adora, il mondo
 pieno è del nome suo; fino i nemici
 ne parlan con rispetto;
345ingiustizia saria negargli affetto.
 ONORIA
 Giacché tanto ti mostri
 ad Ezio amico, il suo poter non devi
 esagerar così. Cesare è troppo
 d'indole sospettosa.
350Vantandolo al germano, ufficio grato
 all'amico non rendi.
 Chi sa... Potrebbe un dì... Varo m'intendi!
 VARO
 Io che son d'Ezio amico
 più cauto parlerò; ma tu se l'ami
355mostrati, o principessa,
 meno ingegnosa in tormentar te stessa.
 
    Se un bell'ardire
 può innamorarti,
 perché arrossire,
360perché sdegnarti
 di quello strale
 che ti piagò?
 
    Chi si fe' chiaro
 per tante imprese
365già grande al paro
 di te si rese,
 già della sorte
 si vendicò.