Ezio, Venezia, Buonarigo, 1728

 SCENA VIII
 
 VALENTINIANO e MASSIMO
 
 VALENTINIANO
 Ezio sappia ch'io bramo (Ad una comparsa)
 seco parlar, che qui l'attendo. Amico
 comincia ad adombrarmi
385la gloria di costui. Ciascun mi parla
 delle conquiste sue; Roma lo chiama
 il suo liberator; egli sé stesso
 troppo conosce; assicurarmi io deggio
 della sua fedeltà. Voglio d'Onoria
390al talamo inalzarlo, acciò che sia
 suo premio il nodo e sicurezza mia.
 MASSIMO
 Veramente per lui giunge all'eccesso
 l'idolatria del volgo; ormai si scorda
 quasi del suo sovrano
395e un suo cenno potria...
 Basta, credo che sia
 Ezio fedele e il dubitarne è vano.
 Se però tal non fosse, a me parrebbe
 mal sicuro riparo
400tanto inalzarlo.
 VALENTINIANO
                              Un sì gran dono ammorza
 l'ambizion d'un'alma.
 MASSIMO
                                           Anzi l'accende.
 Quando è vasto l'incendio, è l'onda istessa
 alimento alla fiamma.
 VALENTINIANO
                                           E come io spero
 sicurezza miglior? Vuoi ch'io m'impegni
405su l'orme de' tiranni? E ch'io divenga
 all'odio universale oggetto e segno?
 MASSIMO
 La prima arte del regno
 è il soffrir l'odio altrui. Giova al regnante
 più l'odio che l'amor; con chi l'offende
410ha più ragion di esercitar l'impero.
 VALENTINIANO
 Massimo, non è vero,
 chi fa troppo temersi
 teme l'altrui timor. Tutti gli estremi
 confinano fra loro. Un dì potrebbe
415il volgo contumace
 per soverchio timor rendersi audace.
 MASSIMO
 Signor, meglio d'ogn'altro
 sai l'arte di regnare. Hanno i monarchi
 un lume ignoto a noi; parlai finora
420per zelo sol del tuo riposo e volli
 rammentar che si deve
 ad un periglio opporsi infin ch'è lieve. (Parte)