Ezio, Venezia, Buonarigo, 1728

 SCENA V
 
 FULVIA, poi EZIO
 
 FULVIA
 Che fo? Dove mi volgo? Egual delitto
 è il parlare e il tacer. Se parlo, oh dio,
 son parricida e nel pensarlo io tremo.
770Se taccio, al giorno estremo
 giunge il mio bene. Ah che all'idea funesta
 s'agghiaccia il sangue e intorno al cor si arresta.
 A qual consiglio mai...
 Ezio dove t'inoltri? Ove ten vai?
 EZIO
775In difesa d'Augusto. Intesi...
 FULVIA
                                                      Ah fuggi.
 In te del tradimento
 cade il sospetto.
 EZIO
                                In me! Fulvia t'inganni.
 Ha troppe prove il Tebro
 della mia fedeltà. Chi seppe ogn'altro
780superar coll'imprese
 maggior d'ogni calunnia anche si rese.
 FULVIA
 Ma se Cesare istesso il reo ti chiama,
 s'io stessa l'ascoltai.
 EZIO
                                       Può dirlo Augusto
 ma crederlo non può. S'anche un momento
785giungesse a dubitarne, ove si volga
 vede la mia difesa. Italia, il mondo,
 la sua grandezza, il conservato impero
 rinfacciar gli saprà che non è vero.
 FULVIA
 So che la tua ruina
790vendicata saria; ma chi m'accerta
 di una pronta difesa? Ah s'io ti perdo,
 la più crudel vendetta
 della perdita tua non mi consola.
 Fuggi se m'ami, al mio timor t'invola.
 EZIO
795Tu per soverchio affetto, ove non sono
 ti figuri i perigli.
 FULVIA
                                  E dove fondi
 questa tua sicurezza?
 Forse nel tuo valore? Ezio gli eroi
 son pur mortali e il numero gli opprime.
800Forse nel merto? Ah che per questo, o caro,
 sventure io ti predico;
 il merto appunto è il tuo maggior nemico.
 EZIO
 La sicurezza mia Fulvia è riposta
 nel cor candido e puro
805che rimorsi non ha, nell'innocenza,
 che paga è di sé stessa, in questa mano
 necessaria all'impero. Augusto alfine
 non è barbaro o stolto.
 E se perde un mio pari,
810conosce anche un tiranno
 qual dura impresa è ristorarne il danno.