Ezio, Venezia, Buonarigo, 1728

 SCENA VII
 
 FULVIA e VARO
 
 FULVIA
 Varo se amasti mai, de' nostri affetti
 pietà dimostra e d'un oppresso amico
835difendi l'innocenza.
 VARO
                                       Or che m'è noto
 il vostro amor, la pena mia si accresce
 e giovarvi io vorrei; ma troppo, oh dio,
 Ezio è di sé nemico. Ei parla in guisa
 che irrita Augusto.
 FULVIA
                                     Il suo costume altero
840è palese a ciascuno. Ormai dovrebbe
 non essergli delitto. Alfin tu vedi
 che se de' merti suoi così favella,
 ei non è menzognero.
 VARO
 Qualche volta è virtù tacere il vero.
845Se non lodo il suo fasto,
 è segno di amistà; saprò per lui
 impiegar l'opra mia
 ma voglia il ciel che inutile non sia.
 FULVIA
 Non dir così. Niega agli afflitti aita
850chi dubbiosa la porge.
 VARO
                                           Egli è sicuro,
 sol che tu voglia; a Cesare ti dona
 e consorte di lui tutto potrai.
 FULVIA
 Che ad altri io voglia mai
 fuor che ad Ezio donarmi, ah non fia vero.
 VARO
855Ma, Fulvia, per salvarlo in qualche parte
 ceder convien. Tu puoi l'ira d'Augusto
 sola placar, non differirlo e in seno
 se amor non hai per lui, fingilo almeno.
 FULVIA
 Seguirò il tuo consiglio
860ma chi sa con qual sorte. È sempre un fallo
 il simulare. Io sento
 che vi repugna il core.
 VARO
                                           In simil caso
 il fingere è permesso;
 e poi non è gran pena al vostro sesso.
 FULVIA
 
865   Quel fingere affetto,
 allor che non s'ama,
 per molti è diletto
 ma pena la chiama
 quest'alma non usa
870a fingere amor.
 
    Mi scopre, m'accusa
 se parla, se tace
 il labro seguace
 dei moti del cor.