L’Ezio, Venezia, Bettinelli, 1733

 SCENA IV
 
 MASSIMO e FULVIA
 
 FULVIA
 È tempo, o genitore,
 che uno sfogo conceda al mio rispetto.
 Tu pria d'Ezio all'affetto
 prometti la mia destra, indi m'imponi
205ch'io soffra, ch'io lusinghi
 di Cesare l'amore e m'assicuri
 che di lui non sarò. Servo al tuo cenno,
 credo alla tua promessa e quando spero
 d'Ezio stringer la mano
210ti sento dir che lo sperarlo è vano.
 MASSIMO
 Io d'ingannarti, o figlia,
 mai non ebbi in pensier. T'accheta, alfine
 non è il peggior de' mali
 il talamo di Augusto.
 FULVIA
                                         E soffrirai
215ch'abbia sposa la figlia
 chi della tua consorte
 insultò l'onestà? Così ti scordi
 l'offese dell'onor? Così t'abbagli
 del trono allo splendor?
 MASSIMO
                                             Vieni al mio seno
220degna parte di me. Quell'odio illustre
 merita ch'io ti scopra
 ciò che dovrei celar. Sappi che ad arte
 dell'onor mio dissimulai l'offese.
 Perde l'odio palese
225il luogo alla vendetta. Ora è vicina,
 eseguirla dobbiam. Sposa al tiranno,
 tu puoi svenarlo o almeno
 agio puoi darmi a trapassargli il seno.
 FULVIA
 Che sento! E con qual fronte
230posso a Cesare offrirmi
 coll'idea di tradirlo? Il reo disegno
 mi leggerebbe in faccia. Ai gran delitti
 è compagno il timor. L'alma ripiena
 tutta della sua colpa
235teme sé stessa. È qualche volta il reo
 felice sì, non mai sicuro. E poi
 vindice di sua morte
 il popolo saria.
 MASSIMO
                              L'odia ciascuno,
 vano è il timor.
 FULVIA
                               T'inganni; il volgo insano
240quel tiranno talora,
 che vivente abborrisce, estinto adora.
 MASSIMO
 Tu l'odio mi rammenti e poi dimostri
 quell'istessa freddezza
 che disapprovi in me!
 FULVIA
                                           Signor, perdona
245se libera ti parlo. Un tradimento
 io non consiglio allora
 che una viltà condanno.
 MASSIMO
                                              Io ti credea,
 Fulvia, più saggia e men soggetta a questi
 di colpa e di virtù lacci servili,
250utili all'alme vili,
 inutili alle grandi.
 FULVIA
                                    Ah non son questi
 que' semi di virtù che in me versasti
 da' miei primi vagiti infino ad ora.
 M'inganni adesso o m'ingannasti allora?
 MASSIMO
255Ogni diversa etade
 vuol massime diverse; altro a' fanciulli,
 altro agli adulti è d'insegnar permesso.
 Allora io t'ingannai.
 FULVIA
                                       M'inganni adesso.
 Che l'odio della colpa,
260che l'amor di virtù nasce con noi,
 che da' principi suoi
 l'alma ha l'idea di ciò che nuoce o giova,
 mel dicesti, io lo sento, ogniun lo prova.
 E se vuoi dirmi il ver, tu stesso, o padre,
265quando toglier mi tenti
 l'orror d'un tradimento, orror ne senti.
 Ah se cara io ti sono
 pensa alla gloria tua, pensa che vai...
 MASSIMO
 Taci importuna, io t'ho sofferta assai.
270Non dar consigli o consigliar se brami
 le tue pari consiglia.
 Rammenta ch'io son padre e tu sei figlia.
 FULVIA
 
    Caro padre, a me non dei
 rammentar che padre sei.
275Io lo so; ma in questi accenti
 non ritrovo il genitor.
 
    Non son io chi ti consiglia;
 è il rispetto d'un regnante,
 è l'affetto d'una figlia,
280è il rimorso del tuo cor. (Parte)