Ezio, Parigi, Quillau, 1755

 SCENA III
 
 EZIO, MASSIMO e poi FULVIA con paggi ed alcuni schiavi
 
 MASSIMO
105Ezio, donasti assai
 alla gloria e al dover; qualche momento
 concedi all'amistà; lascia ch'io stringa
 quella man vincitrice. (Massimo prende per mano Ezio)
 EZIO
                                            Io godo, amico,
 nel rivederti e caro
110m'è l'amor tuo de' miei trionfi al paro.
 Ma Fulvia ove si cela?
 Che fa? Dov'è? Quando ciascun s'affretta
 su le mie pompe ad appagar le ciglia,
 la tua figlia non viene?
 MASSIMO
                                            Ecco la figlia.
 EZIO
115Cara, di te più degno (A Fulvia nell’uscire)
 torna il tuo sposo e al volto tuo gran parte
 deve de' suoi trofei. Fra l'armi e l'ire
 mi fu sprone egualmente
 e la gloria e l'amor; né vinto avrei,
120se premio a' miei sudori
 erano solo i trionfali allori.
 Ma come! a' dolci nomi
 e di sposo e d'amante
 ti veggio impallidir! Doppo la nostra
125lontananza crudel così m'accogli?
 Mi consoli così?
 FULVIA
                                (Che pena!) Io vengo...
 Signor...
 EZIO
                   Tanto rispetto,
 Fulvia, con me! Perché non dirmi fido,
 perché sposo non dirmi? Ah tu non sei
130per me quella che fosti.
 FULVIA
                                             Oh dio! Son quella.
 Ma senti... Ah genitor, per me favella.
 EZIO
 Massimo, non tacer.
 MASSIMO
                                        Tacqui finora,
 perché co' nostri mali a te non volli
 le gioie avvelenar. Si vive, amico,
135sotto un giogo crudele. Anche i pensieri
 imparano a servir. La tua vittoria,
 Ezio, ci toglie alle straniere offese;
 le domestiche accresce. Era il timore
 in qualche parte almeno
140a Cesare di freno; or che vincesti,
 i popoli dovranno
 più superbo soffrirlo e più tiranno.
 EZIO
 Io tal nol credo. Almeno
 la tirannide sua mi fu nascosa.
145Che pretende? Che vuol?
 MASSIMO
                                                 Vuol la tua sposa.
 EZIO
 La sposa mia! Massimo, Fulvia, e voi
 consentite a tradirmi?
 FULVIA
                                            Aimè!
 MASSIMO
                                                          Qual arte,
 qual consiglio adoprar? Vuoi che l'esponga,
 negandola al suo trono,
150d'un tiranno al piacer? Vuoi che su l'orme
 di Virginio io rinnovi,
 per serbarla pudica,
 l'esempio in lei della tragedia antica?
 Ah tu solo potresti
155frangere i nostri ceppi,
 vendicare i tuoi torti. Arbitro sei
 del popolo e dell'armi. A Roma oppressa,
 all'amor tuo tradito
 dovresti una vendetta. Alfin tu sai
160che non si svena al cielo
 vittima più gradita
 d'un empio re.
 EZIO
                              Che dici mai! L'affanno
 vince la tua virtù. Giudice ingiusto
 delle cose è il dolor. Sono i monarchi
165arbitri della terra,
 di loro è il cielo. Ogni altra via si tenti
 ma non l'infedeltade.
 MASSIMO
                                          Anima grande, (Massimo abbraccia Ezio)
 al par del tuo valore
 ammiro la tua fé che più costante
170nelle offese diviene.
 (Cangiar favella e simular conviene).
 FULVIA
 Ezio così tranquillo
 la sua Fulvia abbandona ad altri in braccio?
 EZIO
 Tu sei pur d'ogni laccio
175disciolta ancora. Io parlerò; vedrai
 tutto cangiar d'aspetto.
 FULVIA
                                             Oh dio! Se parli,
 temo per te.
 EZIO
                          L'imperator finora
 dunque non sa ch'io t'amo?
 MASSIMO
                                                     Il vostro amore
 per tema io gli celai.
 EZIO
                                        Questo è l'errore.
180Cesare non ha colpa; al nome mio
 avria cangiato affetto. Opra da saggio
 l'irritarmi non è.
 FULVIA
                                  Tanto ti fidi?
 Ezio, mille timori
 mi turban l'alma. È troppo amante Augusto;
185troppo ardente tu sei. Rifletti, oh dio,
 pria di parlar. Qualche funesto evento
 mi presagisce il cor. Nacqui infelice
 e sperar non mi lice
 che la sorte per me giammai si cangi.
 EZIO
190Son vincitor; sai che t'adoro; e piangi?
 
    Pensa a serbarmi, o cara,
 i dolci affetti tuoi;
 amami e lascia poi
 ogni altra cura a me.
 
195   Tu mi vuoi dir col pianto
 che resti in abbandono.
 No, così vil non sono;
 e meco ingrato tanto
 no, Cesare non è. (Parte)