Ezio, Parigi, Quillau, 1755

 SCENA VI
 
 Camere imperiali istoriate di pitture.
 
 ONORIA e VARO
 
 ONORIA
310Del vincitor ti chiedo,
 non delle sue vittorie; esse abbastanza
 note mi son. Con qual sembiante accolse
 l'applauso popolar? Serbava in volto
 la guerriera fierezza? Il suo trionfo
315gli accrebbe fasto o mansueto il rese?
 Quello narrami, o Varo, e non l'imprese.
 VARO
 Onoria, a me perdona
 se degli acquisti suoi, piucché di lui
 la germana d'Augusto
320curiosa io credei. Sembrano queste
 sì minute richieste
 d'amante più che di sovrana.
 ONORIA
                                                       È troppa
 questa del nostro sesso
 misera servitù! Due volte appena
325s'ode da' labbri nostri
 un nome replicar che siamo amanti.
 Parlano tanti e tanti
 del suo valor, delle sue gesta e vanno
 d'Ezio incontro al ritorno; Onoria sola
330nel soggiorno è rimasta;
 non v'accorse, nol vide; e pur non basta.
 VARO
 Un soverchio ritegno
 anche d'amore è segno.
 ONORIA
                                             Alla tua fede,
 al tuo lungo servir tollero, o Varo,
335di parlarmi così. Ma la distanza,
 ch'è dal suo grado al mio, teco dovrebbe
 difendermi abbastanza.
 VARO
                                              Ognuno ammira
 d'Ezio il valor; Roma l'adora; il mondo
 pieno è del nome suo; fino i nemici
340ne parlan con rispetto;
 ingiustizia saria negarli affetto.
 ONORIA
 Giacché tanto ti mostri
 ad Ezio amico, il suo poter non devi
 esagerar così. Cesare è troppo
345d'indole sospettosa.
 Vantandolo al germano, ufficio grato
 all'amico non rendi.
 Chi sa? Potrebbe un dì... Varo, m'intendi.
 VARO
 Io, che son d'Ezio amico,
350più cauto parlerò; ma tu, se l'ami,
 mostrati, o principessa,
 meno ingegnosa in tormentar te stessa.
 
    Se un bell'ardire
 può innamorarti,
355perché arrossire?
 Perché sdegnarti
 di quello strale
 che ti piagò?
 
    Chi si fe' chiaro
360per tante imprese
 già grande al paro
 di te si rese;
 già della sorte
 si vendicò. (Parte)