Ezio, Parigi, Quillau, 1755

 SCENA VII
 
 FULVIA e VARO
 
 FULVIA
 Varo, se amasti mai, de' nostri affetti
840pietà dimostra e d'un oppresso amico
 difendi l'innocenza.
 VARO
                                       Or che m'è noto
 il vostro amor, la pena mia s'accresce
 e giovarvi io vorrei; ma troppo, oh dio!
 Ezio è di sé nemico; ei parla in guisa
845che irrita Augusto.
 FULVIA
                                     Il suo costume altero
 è palese a ciascuno. Omai dovrebbe
 non essergli delitto. Alfin tu vedi
 che se de' merti suoi così favella,
 ei non è menzognero.
 VARO
850Qualche volta è virtù tacere il vero.
 Se non lodo il suo fasto,
 è segno d'amistà. Saprò per lui
 impiegar l'opra mia;
 ma voglia il ciel che inutile non sia.
 FULVIA
855Non dir così; niega agli afflitti aita
 chi dubbiosa la porge.
 VARO
                                           Egli è sicuro
 sol che tu voglia; a Cesare ti dona
 e consorte di lui tutto potrai.
 FULVIA
 Che ad altri io voglia mai
860fuor che ad Ezio donarmi, ah non fia vero.
 VARO
 Ma, Fulvia, per salvarlo, in qualche parte
 ceder convien. Tu puoi l'ira d'Augusto
 sola placar; non differirlo e in seno
 se amor non hai per lui, fingilo almeno.
 FULVIA
865Seguirò il tuo consiglio
 ma chi sa con qual sorte. È sempre un fallo
 il simulare. Io sento
 che vi ripugna il core.
 VARO
                                          In simil caso
 il fingere è permesso;
870e poi non è gran pena al vostro sesso.
 FULVIA
 
    Quel fingere affetto
 allor che non s'ama
 per molti è diletto;
 ma pena la chiama
875quest'alma non usa
 a fingere amor.
 
    Mi scopre, m'accusa
 se parla, se tace
 il labbro seguace
880dei moti del cor. (Parte)