Ezio, Torino, Reale, 1757

 SCENA VI
 
 Camere imperiali istoriate di pitture.
 
 ONORIA e VARO
 
 ONORIA
 Del vincitor ti chiedo,
 non delle sue vittorie; esse abbastanza
 note mi son. Con qual sembiante accolse
 l'applauso popolar? Serbava in volto
315la guerriera fierezza? Il suo trionfo
 gli accrebbe fasto o mansueto il rese?
 Quello narrami, o Varo, e non l'imprese.
 VARO
 Onoria, a me perdona
 se degli acquisti suoi più che di lui
320la germana d'Augusto
 curiosa io credei. Sembrano queste
 sì minute richieste
 d'amante più che di sovrana.
 ONORIA
                                                       È troppa
 questa del nostro sesso
325misera servitù. Due volte appena
 s'ode da' labbri nostri
 un nome replicar che siamo amanti.
 Parlano tanti e tanti
 del suo valor, delle sue geste e vanno
330d'Ezio incontro al ritorno; Onoria sola
 nel soggiorno è rimasta;
 non v'accorse, nol vide; e pur non basta.
 VARO
 Un soverchio ritegno
 anche d'amore è segno.
 ONORIA
                                             Alla tua fede,
335al tuo lungo servir tollero, o Varo,
 di parlarmi così. Ma la distanza,
 ch'è dal suo grado al mio, teco dovrebbe
 difendermi abbastanza.
 VARO
                                              Ognuno ammira
 d'Ezio il valor; Roma l'adora; il mondo
340pieno è del nome suo; fino i nemici
 ne parlan con rispetto;
 ingiustizia saria negargli affetto.
 ONORIA
 Giacché tanto ti mostri
 ad Ezio amico, il suo poter non devi
345esagerar così. Cesare è troppo
 d'indole sospettosa.
 Vantandolo al germano, uffizio grato
 all'amico non rendi.
 Chi sa? Potrebbe un dì... Varo m'intendi.
 VARO
350Io, che son d'Ezio amico,
 più cauto parlerò; ma tu, se l'ami,
 mostrati, o principessa,
 meno ingegnosa in tormentar te stessa.
 
    Se un bell'ardire
355può innamorarti,
 perché arrossire?
 Perché sdegnarti
 di quello strale
 che ti piagò?
 
360   Chi si fe' chiaro
 per tante imprese
 già grande al paro
 di te si rese,
 già della sorte
365si vendicò. (Parte)