Ezio, Torino, Reale, 1757

 SCENA VII
 
 FULVIA e VARO
 
 FULVIA
840Varo, se amasti mai, de' nostri affetti
 pietà dimostra e d'un oppresso amico
 difendi l'innocenza.
 VARO
                                       Or che m'è noto
 il vostro amor, la pena mia s'accresce
 e giovarvi io vorrei; ma troppo, oh dio!
845Ezio è di sé nemico; ei parla in guisa
 che irrita Augusto.
 FULVIA
                                     Il suo costume altero
 è palese a ciascuno. Omai dovrebbe
 non essergli delitto. Alfin tu vedi
 che se de' merti suoi così favella,
850ei non è menzognero.
 VARO
 Qualche volta è virtù tacere il vero.
 Se non lodo il suo fasto,
 è segno d'amistà. Saprò per lui
 impiegar l'opra mia;
855ma voglia il ciel che inutile non sia.
 FULVIA
 Non dir così; niega agli afflitti aita
 chi dubbiosa la porge.
 VARO
                                           Egli è sicuro,
 sol che tu voglia; a Cesare ti dona
 e consorte di lui tutto potrai.
 FULVIA
860Che ad altri io voglia mai
 fuor che ad Ezio donarmi ah non fia vero!
 VARO
 Ma, Fulvia, per salvarlo in qualche parte
 ceder convien. Tu puoi l'ira d'Augusto
 sola placar; non differirlo e in seno
865se amor non hai per lui, fingilo almeno.
 FULVIA
 Seguirò il tuo consiglio
 ma chi sa con qual sorte. È sempre un fallo
 il simulare. Io sento
 che vi ripugna il core.
 VARO
                                          In simil caso
870il fingere è permesso;
 e poi non è gran pena al vostro sesso.
 FULVIA
 
    Quel fingere affetto
 allor che non s'ama
 per molti è diletto;
875ma pena la chiama
 quest'alma non usa
 a fingere amor.
 
    Mi scopre, m'accusa,
 se parla, se tace,
880il labbro seguace
 dei moti del cor. (Parte)