Semiramide riconosciuta, Roma, Zempel e de Mey, 1729

 SCENA VI
 
 IRCANO e MIRTEO
 
 IRCANO
 La principessa udisti? Ella superba
 va degli affetti miei. Misero amante
245ti sento sospirar, ti veggo afflitto.
 Cangia, cangia desio
 e per consiglio mio torna in Egitto.
 MIRTEO
 Sei degno di pietà, se non distingui
 dall'ossequio il disprezzo. In quegli accenti
250ti rinfaccia Tamiri
 che de' meriti tuoi troppo presumi.
 IRCANO
 Io de' vostri costumi intendo meno
 quanto gli ascolto più. Qui le parole
 dunque han sensi diversi? A voglia altrui
255qui si parla e si tace; al regio cenno
 deve un'alma adattar gli affetti suoi;
 chi mai mi trasse a delirar con voi!
 MIRTEO
 In questa guisa Ircano
 in Assiria si vive. Amando ancora
260imitar ti conviene il nostro stile.
 Con lingua più gentile alle reine
 si ragiona d'amor. Non son già queste
 l'erranti abitatrici
 dell'ircane foreste.
 IRCANO
                                     E qual è mai
265questo vostro d'amar nuovo costume?
 MIRTEO
 Qui la beltà d'un volto
 rispettoso s'ammira;
 si tace, si sospira,
 si tolera, si pena,
270l'amorosa catena
 si soffre volontier, benché severa.
 IRCANO
 E poi s'ottien mercede?
 MIRTEO
                                              E poi si spera.
 IRCANO
 Miserabil mercé! Meglio fra noi
 si trattano gli amori. Al primo sguardo
275senza taccia d'audace
 si palesa l'ardor. Cangia d'affetto
 ciascun a suo talento,
 ama finché è diletto
 e tralascia d'amar quando è tormento.
 MIRTEO
280O barbaro è il costume
 o non s'ama fra voi. Gioia è la pena.
 Ed un'alma fedele
 sé per l'amato ben pone in oblio.
 IRCANO
 Ciascun siegua il suo stile, io sieguo il mio.
 
285   Maggior follia non v'è
 che per godere un dì
 questa soffrir così
 legge tiranna.
 
    Io giuro amore e fé
290a più d'una beltà
 né serbo fedeltà
 quando m'affanna. (Parte)