Semiramide riconosciuta, Roma, Zempel e de Mey, 1729

 SCENA IX
 
 TAMIRI e MIRTEO
 
 MIRTEO
 Felice me, se un giorno
1000pietosa ti vedrò.
 TAMIRI
                                 Se di Scitalce
 pria non sei vincitor, tu di Tamiri
 possessor non sarai.
 MIRTEO
                                       L'avrei punito
 s'ei fosse in libertà. Nino lo rese
 suo prigionier.
 TAMIRI
                              Perché?
 MIRTEO
                                               Per vendicarti.
 TAMIRI
1005Per vendicarmi! E chi richiese a lui
 questa vendetta? Io voglio
 che il punisca un di voi.
 MIRTEO
                                              Libero ei vada,
 eccomi pronto.
 TAMIRI
                              A me lascia la cura
 della sua libertà, tu pensa al resto.
 MIRTEO
1010Ubbidirò ma poi
 stringerò la tua destra?
 TAMIRI
                                             Io mi spiegai
 abbastanza con te.
 MIRTEO
                                    Sì, ma potresti
 pentirti ancor.
 TAMIRI
                              (Quant'è importuno!) Ingiusto
 è il tuo timore.
 MIRTEO
                              Oh dio!
1015Così avvezzo son io
 invano a sospirar che sempre temo,
 sempre m'agita il petto...
 TAMIRI
 Mirteo, cangia favella o cangia affetto.
 Io tolerar non posso
1020un languido amator che mi tormenti
 con assidui lamenti,
 che mai lieto non sia, che sempre innanzi
 mesto mi venga e che tacendo ancora
 con la fronte turbata
1025mi rimproveri ognor ch'io sono ingrata.
 MIRTEO
 Tiranna, e qual tormento
 ti reco mai, se timido e modesto
 di palesarti appena
 ardisco il mio martir? Sola a sdegnarti
1030tu sei fra tante e tante
 al sospirar d'un rispettoso amante.
 
    Fiumicel, che s'ode appena
 mormorar fra l'erbe e i fiori,
 mai turbar non sa l'arena
1035e alle ninfe ed ai pastori
 bell'ogetto è di piacer.
 
    Venticel, che appena scuote
 picciol mirto o basso alloro,
 mai non desta la tempesta
1040ma cagione è di ristoro
 allo stanco passaggier. (Parte)