La Semiramide riconosciuta, Venezia, Bettinelli, 1733

 SCENA XIII
 
 SEMIRAMIDE, poi IRCANO e MIRTEO
 
 SEMIRAMIDE
525Sarà dunque Scitalce
 sposo a Tamiri e tollerar lo deggio?
 Lo sia. Qual cura io prendo
 d'un traditor? Potessi almen spiegarmi,
 dirgli ingrato, infedel; ma in gran periglio
530pongo me stessa; ah che farò? Vorrei
 e parlare e tacer. Dubbiosa intanto
 e non parlo e non taccio,
 di sdegno avvampo e di timore agghiaccio.
 Principi, i vostri affetti (Vedendo Ircano e Mirteo)
535son sventurati.
 MIRTEO
                              E donde il sai?
 SEMIRAMIDE
                                                           Tamiri
 scoperse il suo pensier.
 IRCANO
                                             Come?
 SEMIRAMIDE
                                                             Non giova
 consumare in querele il tempo invano.
 MIRTEO
 Che far possiamo?
 SEMIRAMIDE
                                     Ad un rival si lascia
 così libero il campo? Andate a lei,
540ditele i vostri affanni,
 pietà chiedete e se mercé bramate,
 qualche stilla di pianto ancor versate.
 IRCANO
 Non è sì vile Ircano.
 MIRTEO
 A placar quell'ingrata il pianto è vano.
 SEMIRAMIDE
 
545   Voi non sapete quanto
 giovi a destar faville
 quell'improvviso pianto
 che versan due pupille
 in faccia al caro ben.
 
550   Ogni bellezza altera
 va dell'altrui dolore;
 si rende poi men fiera
 e alfin germoglia amore
 alla pietade in sen. (Parte)