Semiramide, Parigi, Quillau, 1755, II

 SCENA ULTIMA
 
 MIRTEO, SCITALCE, poi TAMIRI e detti
 
 MIRTEO
 (Al traditore in faccia il sangue io sento
 agitar nelle vene). (Guardando Scitalce)
 SCITALCE
                                     (Io sento il core
1125agitarsi nel petto in faccia a lei). (Guardando Semiramide)
 SEMIRAMIDE
 (Spettacolo funesto agli occhi miei!) (Due capitani delle
 guardie presentano l’armi a Scitalce e a Mirteo e si
 ritirano appresso i cancelli. Mentre Mirteo e Scitalce si
 muovono per combattere esce frettolosa Tamiri)
 TAMIRI
 Ah fermati Mirteo. Sai ch'io non voglio
 più vendetta da te.
 MIRTEO
                                     Vendico i miei,
 non i tuoi torti; è un traditor costui,
1130mentisce il nome; egli s'appella Idreno;
 egli la mia germana
 dall'Egitto rapì.
 SIBARI
                                (Stelle che fia!)
 SCITALCE
 Saprò qualunque io sia...
 SEMIRAMIDE
                                                Mirteo t'inganni.
 MIRTEO
 Nella reggia d'Egitto
1135Sibari lo conobbe, egli l'afferma.
 SIBARI
 (Aimè!)
 SCITALCE
                   Che! Mi tradisci (A Sibari)
 perfido amico! È ver, mi finsi Idreno;
 è ver, la tua germana
 là del Nilo alle sponde
1140rapii, trafissi, e la gittai nell'onde.
 MIRTEO
 Empio! Inumano!
 SCITALCE
                                    In questo foglio vedi (Cava il foglio)
 s'ella fu, s'io son reo.
 Sibari lo vergò, leggi Mirteo. (Lo dà a Mirteo)
 SIBARI
 (Tremo).
 SEMIRAMIDE
                    (Che foglio è quello?)
 MIRTEO
                                                             «Amico Idreno (Legge)
1145ad altro amante in seno
 Semiramide tua porti tu stesso;
 l'insidia è al Nilo appresso. Ella che brama
 solo esporti al periglio
 di doverla rapir, ti finge amore,
1150fugge con te ma col disegno infame
 di privarti di vita
 e poi trovarsi unita
 a quello a cui la stringe il genio antico.
 Vivi; ha di te pietà Sibari amico».
 SEMIRAMIDE
1155(Stelle! Che inganno orrendo!)
 MIRTEO
 Sibari, io non t'intendo. In questo foglio
 sei di Scitalce amico; e pur poc'anzi
 da me, lo sai, tu lo volevi oppresso.
 Come amico e nemico
1160di Scitalce esser può Sibari istesso?
 SIBARI
 Allor... (Mi perdo). Io non credea... Parlai...
 MIRTEO
 Perfido ti confondi. Ah Nino, è questi
 un traditor; da' labbri suoi si tragga
 a forza il ver.
 SEMIRAMIDE
                           (Se qui a parlar l'astringo,
1165al popolo ei mi scopre). In chiuso loco
 costui si porti. E sarà mia la cura
 che tutto ei sveli.
 SIBARI
                                  A che portarmi altrove?
 Qui parlerò.
 SEMIRAMIDE
                          No, vanne, i detti tuoi
 solo ascoltar vogl'io.
 SCITALCE
1170Perché?
 MIRTEO
                  Resti.
 IRCANO
                               Si senta.
 SIBARI
                                                 Udite.
 SEMIRAMIDE
                                                               (Oh dio!)
 SIBARI
 Semiramide amai. Lo tacqui, intesi
 l'amor suo con Scitalce. A lei concessi
 agio a fuggir; quanto quel foglio afferma
 finsi per farla mia.
 SCITALCE
                                     Fingesti! Io vidi
1175pure il rival; vidi gli armati.
 SIBARI
                                                      Io fui
 che mal noto fra l'ombre
 sul Nilo v'attendea. Volli assalirti
 vedendoti con lei
 ma fra l'ombre in un tratto io vi perdei.
 SCITALCE
1180Ah perfido! (Che feci!)
 SIBARI
                                             Udite; ancora
 molto mi resta a dir.
 SEMIRAMIDE
                                        Sibari, basta.
 IRCANO
 No; pria si chiami autore
 de' falli apposti a me.
 SIBARI
                                          Tutti son miei.
 SEMIRAMIDE
 Basta, non più.
 SIBARI
                               No, non mi basta.
 SEMIRAMIDE
                                                                 (Oh dei!)
 SIBARI
1185Giacché perduto io sono,
 altri lieto non sia. Popoli a voi
 scopro un inganno, aprite i lumi; ingombra
 una femina imbelle il vostro impero...
 SEMIRAMIDE
 Taci. (È tempo d'ardir). Popoli è vero. (S’alza in piedi sul
 trono)
1190Semiramide io son; del figlio invece
 regnai finor ma per giovarvi. Io tolsi
 del regno il freno ad una destra imbelle
 non atta a moderarlo; io vi difesi
 dal nemico furor; d'eccelse mura
1195Babilonia adornai;
 coll'armi io dilatai
 i regni dell'Assiria. Assiria istessa
 dica per me se mi provò finora
 sotto spoglia fallace
1200ardita in guerra e moderata in pace.
 Se sdegnate ubbidirmi, ecco depongo
 il serto mio, non è lontano il figlio; (Depone la corona
 sul trono)
 dalla reggia vicina
 porti sul trono il piè.
 CORO
 
1205   Viva lieta e sia regina
 chi finor fu nostro re. (Semiramide si ripone in capo la
 corona)
 
 MIRTEO
 Ah germana!
 SEMIRAMIDE
                           Ah Mirteo! (Scende dal trono ed abbraccia
 Mirteo)
 SCITALCE
                                                  Perdono o cara,
 son reo... (S’inginocchia)
 SEMIRAMIDE
                     Sorgi e t'assolva
 della mia destra il dono. (Porge la mano a Scitalce)
 SCITALCE
                                                Oh dio, Tamiri
1210coll'idol mio sdegnato
 io ti promisi amor.
 TAMIRI
                                      Tolgano i numi
 ch'io turbi un sì bel nodo; in questa mano
 ecco il premio, Mirteo, da te bramato. (Dà la mano a Mirteo)
 SCITALCE
 Anima generosa!
 MIRTEO
                                  Oh me beato!
 IRCANO
1215Lasciatemi svenar Sibari e poi
 al Caucaso natio torno contento.
 SEMIRAMIDE
 D'ogni esempio maggiori,
 principe, i casi miei vedi che sono. (Ad Ircano)
 Sia maggior d'ogni esempio anche il perdono.
 CORO
 
1220   Donna illustre, il ciel destina
 a te regni, imperi a te.
 
    Viva lieta e sia regina
 chi finor fu nostro re.
 
 IL FINE
 
  Nel tempo dell’ultimo coro dell’opera, del suo ritornello e della sinfonia che precede la licenza, tutta la scena si ricopre di dense nuvole, le quali diradandosi poi a poco a poco scoprono nell’alto la luminosa reggia di Giove sulle cime dell’Olimpo ed una porzione d’arcobaleno che si perde nel basso fra le nuvole che circondan sempre le scoscese falde del monte. Si vede Giove assiso nel suo trono nel più distinto loco della reggia, all’intorno e sotto di lui Giunone, Venere, Pallade, Apollo, Marte, Mercurio e la schiera degli dei minori e de’ geni celesti. La dea Iride a’ suoi piedi in atto di riceverne un comando. Questa, quando già sia la scena al suo punto, levandosi rispettosamente va a sedere in un leggiero carro tirato da pavoni e già innanzi preparato sull’alto dell’arcobaleno; e servendole di strada l’arco medesimo scende velocemente al basso, dove smontata dal suo carro, corteggiata da’ geni celesti si avanza a pronunciare la seguente