Semiramide, Torino, Reale, 1757, I

 SCENA VI
 
 IRCANO e MIRTEO
 
 IRCANO
 La principessa udisti? Ella superba
 va degli affetti miei. Misero amante,
 ti sento sospirar, ti veggo afflitto.
245Cangia, cangia desio
 e per consiglio mio torna in Egitto.
 MIRTEO
 Sei degno di pietà, se non distingui
 dall'ossequio il disprezzo. In quegli accenti
 ti rinfaccia Tamiri
250che de' meriti tuoi troppo presumi.
 IRCANO
 Io de' vostri costumi intendo meno
 quanto gli ascolto più. Qui le parole
 dunque han sensi diversi? A voglia altrui
 qui si parla e si tace? Al regio cenno
255deve un'alma adattar gli affetti suoi?
 Chi mai mi trasse a delirar con voi!
 MIRTEO
 In questa guisa, Ircano,
 in Assiria si vive. Amando ancora
 imitar ti conviene il nostro stile.
260Con lingua più gentile alle reine
 si ragiona d'amor. Non son già queste
 l'erranti abitatrici
 dell'ircane foreste.
 IRCANO
                                     E quale è mai
 questo vostro d'amar nuovo costume?
 MIRTEO
265Qui la beltà d'un volto
 rispettoso s'ammira,
 si tace, si sospira,
 si tollera, si pena;
 l'amorosa catena
270si soffre volentier, benché severa.
 IRCANO
 E poi s'ottien mercede?
 MIRTEO
                                              E poi si spera.
 IRCANO
 Miserabil mercé! Meglio fra noi
 si trattano gli amori. Al primo sguardo
 senza taccia d'audace
275si palesa l'ardor. Cangia d'affetto
 ciascuno a suo talento;
 ama finch'è diletto
 e tralascia d'amar quando è tormento.
 MIRTEO
 O barbaro è il costume
280o non s'ama fra voi. Gioia è la pena
 ed un'alma fedele
 sé per l'amato ben pone in obblio.
 IRCANO
 Ciascun siegua il suo stile; io sieguo il mio.
 
    Maggior follia non v'è
285che per godere un dì
 questa soffrir così
 legge tiranna.
 
    Io giuro amore e fé
 a più d'una beltà
290né serbo fedeltà,
 quando m'affanna. (Parte)