Semiramide, Torino, Reale, 1757, I

 SCENA XIII
 
 SEMIRAMIDE, poi IRCANO e MIRTEO
 
 SEMIRAMIDE
 Sarà dunque Scitalce
525sposo a Tamiri e tollerar lo deggio?
 Lo sia. Qual cura io prendo
 d'un traditor? Potessi almen spiegarmi,
 dirgli ingrato, infedel! Ma in gran periglio
 pongo me stessa. Ah che farò? Vorrei
530e parlare e tacer. Dubbiosa intanto
 e non parlo e non taccio;
 di sdegno avvampo e di timore agghiaccio.
 Principi, i vostri affetti (Vedendo Ircano e Mirteo)
 son sventurati.
 MIRTEO
                              E donde il sai?
 SEMIRAMIDE
                                                           Tamiri
535scoperse il suo pensier.
 IRCANO
                                             Come?
 SEMIRAMIDE
                                                             Non giova
 consumare in querele il tempo invano.
 MIRTEO
 Che far possiamo?
 SEMIRAMIDE
                                     Ad un rival si lascia
 così libero il campo? Andate a lei,
 ditele i vostri affanni,
540pietà chiedete e se mercé bramate,
 qualche stilla di pianto ancor versate.
 IRCANO
 Non è sì vile Ircano.
 MIRTEO
 A placar quell'ingrata il pianto è vano.
 SEMIRAMIDE
 
    Voi non sapete quanto
545giova a destar faville
 quell'improvviso pianto
 che versan due pupille
 in faccia al caro ben.
 
    Ogni bellezza altera
550va dell'altrui dolore;
 si rende poi men fiera
 e alfin germoglia amore
 alla pietade in sen. (Parte)