Semiramide, Torino, Reale, 1757, I

 SCENA IX
 
 TAMIRI e MIRTEO
 
 MIRTEO
 Felice me, se un giorno
 pietosa ti vedrò!
 TAMIRI
                                 Se di Scitalce
1000pria non sei vincitor, tu di Tamiri
 possessor non sarai.
 MIRTEO
                                       L'avrei punito,
 s'ei fosse in libertà. Nino lo rese
 suo prigionier.
 TAMIRI
                              Perché?
 MIRTEO
                                               Per vendicarti.
 TAMIRI
 Per vendicarmi! E chi richiese a lui
1005questa vendetta? Io voglio
 che il punisca un di voi.
 MIRTEO
                                              Libero ei vada,
 eccomi pronto.
 TAMIRI
                              A me lascia la cura
 della sua libertà, tu pensa al resto.
 MIRTEO
 Ubbidirò; ma poi
1010stringerò la tua destra?
 TAMIRI
                                             Io mi spiegai
 abbastanza con te.
 MIRTEO
                                    Sì, ma potresti
 pentirti ancor.
 TAMIRI
                              (Quant'è importuno!) Ingiusto
 è il tuo timore.
 MIRTEO
                              Oh dio!
 Così avvezzo son io
1015invano a sospirar che sempre temo,
 sempre m'agita il petto...
 TAMIRI
 Mirteo, cangia favella o cangia affetto.
 Io tollerar non posso
 un languido amator che mi tormenti
1020con assidui lamenti,
 che mai lieto non sia, che sempre innanzi
 mesto mi venga e che tacendo ancora
 con la fronte turbata
 mi rimproveri ognor ch'io sono ingrata.
 MIRTEO
1025Tiranna, e qual tormento
 ti reco mai, se timido e modesto
 di palesarti appena
 ardisco il mio martir? Sola a sdegnarti
 tu sei fra tante e tante
1030al sospirar d'un rispettoso amante.
 
    Fiumicel, che s'ode appena
 mormorar fra l'erbe e i fiori,
 mai turbar non sa l'arena
 e alle ninfe ed ai pastori
1035bell'oggetto è di piacer.
 
    Venticel, che appena scuote
 picciol mirto o basso alloro,
 mai non desta la tempesta;
 ma cagione è di ristoro
1040allo stanco passeggier. (Parte)