Semiramide, Torino, Reale, 1757, II

 SCENA PRIMA
 
  Sala regia illuminata in tempo di notte. Varie credenze intorno con vasi trasparenti. Gran mensa imbandita nel mezzo con quattro sedili intorno ed una sedia in faccia.
 
 SIBARI e poi IRCANO con ispada nuda
 
 SIBARI
 Ministri, al re sia noto
 che già pronta è la mensa. (E beva in questa (Parte una guardia)
 Scitalce la sua morte. È troppo il colpo
430necessario per me; scoprir potrebbe
 la sua voce, il mio scritto
 quanto Sibari un dì finse in Egitto).
 Dove, signor? Qual ira (Ad Ircano)
 t'arma la destra?
 IRCANO
                                  Io vo' Scitalce estinto.
435Additami dov'è.
 SIBARI
                                 Ma che pretendi?
 IRCANO
 In braccio alla sua sposa
 trafiggere il rival.
 SIBARI
                                   Tacci, se brami
 vederlo estinto. Il tuo furor potrebbe
 scomporre un mio disegno.
 IRCANO
                                                    Io non t'intendo.
440Corro a svenarlo; e poi
 mi spiegherai l'arcan. (In atto di partire)
 SIBARI
                                            Senti. (Ah conviene
 tutto scoprir). Poss'io di te fidarmi?
 IRCANO
 Parla.
 SIBARI
              Per odio antico
 Scitalce è mio nemico. Ed io... ma taci,
445preparai la sua morte.
 IRCANO
                                           E come?
 SIBARI
                                                             È certo
 che Scitalce è lo sposo. A lui Tamiri
 dovrà, com'è costume,
 il primo nappo offrir. Per opra mia
 questo sarà d'atro veleno infetto.
 IRCANO
450Mi piace. E se m'inganni?
 SIBARI
                                                  Ecco il veleno. (Gli mostra un picciol vaso)
 Se nol porgo al rival, passami il seno.
 IRCANO
 Saggio pensiero. Io, tel confesso, amico,
 te ne invidio l'onore.
 SIBARI
                                         Il re s'appressa.
 T'accheta.