Didone abbandonata, Parigi, Quillau, 1755, I

 SCENA XI
 
 SELENE, IARBA ed ARASPE
 
 IARBA
 Non partirò se pria...
 SELENE
                                         Da lui che brami? (Lo ferma)
 IARBA
 Il suo nome.
 SELENE
                          Il suo nome
360senza tanto furor da me saprai.
 IARBA
 A questa legge io resto.
 SELENE
 Quell'Enea che tu cerchi appunto è questo.
 IARBA
 Ah m'involasti un colpo
 che al mio braccio offeriva il ciel cortese.
 SELENE
365Ma perché tanto sdegno? In che t'offese?
 IARBA
 Gli affetti di Didone
 al mio signor contende;
 t'è noto e mi domandi in che m'offende?
 SELENE
 Arbace, a quel ch'io veggio,
370nella scuola d'amor sei rozzo ancora.
 Un cor che s'innamora
 non sceglie a suo piacer l'oggetto amato.
 Onde nessuno offende,
 quando in amor contende o allor che niega
375corrispondenza altrui. Non è bellezza,
 non è senno o valore
 che in noi risveglia amore; anzi talora
 il men vago, il più stolto è che s'adora.
 Bella ciascuno poi finge al pensiero
380la fiamma sua; ma poche volte è vero.
 
    Ogni amator suppone
 che della sua ferita
 sia la beltà cagione;
 ma la beltà non è.
 
385   È un bel desio che nasce
 allor che men s'aspetta;
 si sente che diletta
 ma non si sa perché. (Parte)