Alessandro, Torino, Reale, 1757, I

 SCENA IV
 
 ERISSENA e TIMAGENE
 
 TIMAGENE
 (Oh rimprovero acerbo
 che irrita l'odio mio!)
 ERISSENA
                                          Questo è Alessandro?
 TIMAGENE
 È questo.
 ERISSENA
                     Io mi credea
185che avessero i nemici
 più rigido l'aspetto,
 più fiero il cor. Ma sono
 tutti i Greci così?
 TIMAGENE
                                   (Semplice!) Appunto.
 ERISSENA
 Quanto invidio la sorte
190delle greche donzelle! Almen fra loro
 fossi nata ancor io.
 TIMAGENE
                                     Che aver potresti
 di più vago, nascendo in altr'arena?
 ERISSENA
 Avrebbe un Alessandro anch'Erissena.
 TIMAGENE
 Se le greche sembianze
195ti son grate così, l'affetto mio
 posso offrirti, se vuoi. Son greco anch'io.
 ERISSENA
 Tu greco ancor?
 TIMAGENE
                                Sotto un istesso cielo
 spuntò la prima aurora
 a' giorni d'Alessandro, a' giorni miei.
 ERISSENA
200Non è greco Alessandro o tu nol sei.
 TIMAGENE
 Dimmi almen, qual ragione
 sì diverso da me lo renda mai?
 ERISSENA
 Ha in volto un non so che, che tu non hai.
 TIMAGENE
 (Che pena!) Ah già per lui
205fra gli amorosi affanni
 dunque vive Erissena?
 ERISSENA
                                             Io!
 TIMAGENE
                                                     Sì.
 ERISSENA
                                                             T'inganni.
 
    Chi vive amante sai che delira,
 spesso si lagna, sempre sospira
 né d'altro parla che di morir.
 
210   Io non mi affanno, non mi querelo,
 giammai tiranno non chiamo il cielo.
 Dunque il mio core d'amor non pena
 o pur l'amore non è martir. (Parte con i due prigionieri indiani, accompagnata dal seguito di Timagene)