Artaserse, Roma, Zempel e de Mey, 1730

 SCENA XIII
 
 ARTASERSE, SEMIRA ed ARTABANO
 
 ARTASERSE
 Quanto, amata Semira,
 congiura il ciel del nostro Arbace a danno.
 SEMIRA
 Inumano, tiranno!
 Così presto ti cangi?
1120Prima uccidi l'amico e poi lo piangi?
 ARTASERSE
 All'arbitrio del padre
 la sua vita commisi
 ed io sono il tiranno? Ed io l'uccisi?
 SEMIRA
 Questa è la più ingegnosa
1125barbara crudeltà. Giudice il padre
 era servo alla legge. A te sovrano
 la legge era vassalla. Ei non poteva
 esser pietoso. E tu dovevi. Eh dimmi
 che godi di veder svenato un figlio
1130per man del genitore,
 che amicizia non hai, non senti amore.
 ARTASERSE
 Parli la Persia e dica
 se ad Arbace son grato,
 se ho pietà del tuo duol, se t'amo ancora.
 SEMIRA
1135Ben ti credei finora,
 lusingata ancor io dal genio antico,
 pietoso amante e generoso amico;
 ma ti scopre un istante
 perfido amico e dispietato amante.
 
1140   Per quell'affetto
 che l'incatena,
 l'ira depone
 la tigre armena,
 lascia il leone
1145la crudeltà.
 
    Tu delle fiere
 più fiero ancora
 alle preghiere
 di chi t'adora
1150spogli il tuo petto
 d'ogni pietà. (Parte)