Artaserse, Roma, Zempel e de Mey, 1730

 SCENA V
 
 Gabinetto negli appartamenti di Mandane.
 
 MANDANE, poi SEMIRA
 
 MANDANE
 O che all'uso de' mali
 istupidisca il senso o ch'abbian l'alme
1345qualche parte di luce
 che presaghe le renda, io per Arbace
 quanto dovrei non so dolermi. Ancora
 l'infelice vivrà. Se fosse estinto
 già purtroppo il saprei. Porta i disastri
1350sollecita la fama.
 SEMIRA
                                 Alfin potrai
 consolarti Mandane. Il ciel t'arrise.
 MANDANE
 Forse il re sciolse Arbace?
 SEMIRA
                                                  Anzi l'uccise.
 MANDANE
 Come!
 SEMIRA
                È noto a ciascun; benché in segreto
 ei terminò la sua dolente sorte.
 MANDANE
1355(O presaggi fallaci! O giorno! O morte!)
 SEMIRA
 Eccoti vendicata, ecco adempito
 il tuo genio crudel. Ti basta? O vuoi
 altre vittime ancor? Parla.
 MANDANE
                                                  Ah Semira,
 soglion le cure lievi esser loquaci
1360ma stupide le grandi.
 SEMIRA
                                          Alma non vidi
 della tua più inumana. Al caso atroce
 non v'è ciglio che sappia
 serbarsi asciutto e tu non piangi intanto.
 MANDANE
 Picciolo è il duol, quando permette il pianto.
 SEMIRA
1365Va' se paga non sei; pasci i tuoi sguardi
 su la trafitta spoglia
 del mio caro germano. Osserva il seno,
 numera le ferite e lieta in faccia...
 MANDANE
 Taci, parti da me.
 SEMIRA
                                   Che io parta e taccia!
1370Fin che vita ti resta
 sempre intorno m'avrai. Sempre importuna
 render i giorni tuoi voglio infelici.
 MANDANE
 E quando io meritai tanti nemici!
 
    Mi credi spietata?
1375Mi chiami crudele?
 Non tanto furore,
 non tante querele,
 che basta il dolore
 per farmi morir.
 
1380   Quell'odio, quell'ira
 d'un'alma sdegnata,
 ingrata Semira,
 non posso soffrir. (Parte)