L’Artaserse, Venezia, Bettinelli, 1733

 SCENA XII
 
 MANDANE, ARTASERSE, SEMIRA ed ARTABANO
 
 MANDANE
 Ah, che al partir d'Arbace
 io comincio a provar che sia la morte!
 ARTABANO
 A prezzo del mio sangue ecco o Mandane
 soddisfatto il tuo sdegno.
 MANDANE
                                                Ah scelerato!
1085Fuggi dagli occhi miei, fuggi la luce
 delle stelle e del sol; celati indegno
 nelle più cupe e cieche
 viscere della terra,
 se pur la terra istessa a un empio padre,
1090così d'umanità privo e d'affetto,
 nelle viscere sue darà ricetto.
 ARTABANO
 Dunque la mia virtù...
 MANDANE
                                           Taci inumano;
 di qual virtù ti vanti?
 Ha questa i suoi confini; e quando eccede,
1095cangiata in vizio ogni virtù si vede.
 ARTABANO
 Ma non sei quella istessa
 che finor m'irritò?
 MANDANE
                                     Son quella e sono
 degna di lode. E se dovesse Arbace
 giudicarsi di nuovo, io la sua morte
1100di nuovo chiederei. Dovea Mandane
 un padre vendicar; salvare un figlio
 Artabano dovea. A te l'affetto,
 l'odio a me conveniva. Io l'interesse
 d'una tenera amante
1105non dovevo ascoltar. Ma tu dovevi
 di giudice il rigor porre in oblio;
 questo era il tuo dover, questo era il mio.
 
    Va' tra le selve ircane,
 barbaro genitore;
1110fiera di te peggiore,
 mostro peggior non v'è.
 
    Quanto di reo produce
 l'Africa al sol vicina,
 l'inospita marina,
1115tutto s'aduna in te. (Parte)