Artaserse, Torino, Reale, 1757

 SCENA XII
 
 MANDANE, ARTASERSE, SEMIRA ed ARTABANO
 
 MANDANE
1080(Ah che al partir d'Arbace
 io comincio a provar che sia la morte!)
 ARTABANO
 A prezzo del mio sangue, ecco, o Mandane,
 soddisfatto il tuo sdegno.
 MANDANE
                                                Ah scellerato!
 Fuggi dagli occhi miei, fuggi la luce
1085delle stelle e del sol; celati, indegno,
 nelle più cupe e cieche
 viscere della terra,
 se pur la terra istessa a un empio padre,
 così d'umanità privo e d'affetto,
1090nelle viscere sue darà ricetto.
 ARTABANO
 Dunque la mia virtù...
 MANDANE
                                           Taci, inumano.
 Di qual virtù ti vanti?
 Ha questa i suoi confini; e quando eccede,
 cangiata in vizio ogni virtù si vede.
 ARTABANO
1095Ma non sei quell'istessa
 che finor m'irritò?
 MANDANE
                                     Son quella e sono
 degna di lode. E se dovesse Arbace
 giudicarsi di nuovo, io la sua morte
 di nuovo chiederei. Dovea Mandane
1100un padre vendicar; salvare un figlio
 Artabano doveva. A te l'affetto,
 l'odio a me conveniva. Io l'interesse
 d'una tenera amante
 non dovevo ascoltar; ma tu dovevi
1105di giudice il rigor porre in obblio;
 questo era il tuo dover, quello era il mio.
 
    Va' tra le selve ircane,
 barbaro genitor;
 fiera di te peggior,
1110mostro peggior non v'è.
 
    Quanto di reo produce
 l'Africa al sol vicina,
 l'inospita marina,
 tutto s'aduna in te. (Parte)