Didone abbandonata, Parigi, Quillau, 1755, II

 SCENA II
 
 DIDONE con seguito e detti
 
 DIDONE
 Enea d'Asia splendore,
 di Citerea soave cura e mia,
 vedi come a momenti,
50del tuo soggiorno altera,
 la nascente Cartago alza la fronte.
 Frutto de' miei sudori
 son quegli archi, que' templi e quelle mura;
 ma de' sudori miei
55l'ornamento più grande, Enea, tu sei.
 Tu non mi guardi e taci? In questa guisa
 con un freddo silenzio Enea m'accoglie?
 Forse già dal tuo core
 di me l'imago ha cancellata amore?
 ENEA
60Didone alla mia mente,
 giuro a tutti gli dei, sempre è presente.
 Né tempo o lontananza
 potrà sparger d'oblio,
 questo ancor giuro ai numi, il foco mio.
 DIDONE
65Che proteste! Io non chiedo
 giuramenti da te; perch'io ti creda
 un tuo sguardo mi basta, un tuo sospiro.
 OSMIDA
 (Troppo s'inoltra).
 SELENE
                                     (Ed io parlar non oso).
 ENEA
 Se brami il tuo riposo,
70pensa alla tua grandezza;
 a me più non pensar.
 DIDONE
                                          Che a te non pensi?
 Io che per te sol vivo? Io che non godo
 i miei giorni felici
 se un momento mi lasci?
 ENEA
                                                Oh dio, che dici!
75E qual tempo scegliesti! Ah troppo, troppo
 generosa tu sei per un ingrato.
 DIDONE
 Ingrato Enea! Perché? Dunque noiosa
 ti sarà la mia fiamma.
 ENEA
                                           Anzi giammai
 con maggior tenerezza io non t'amai.
80Ma...
 DIDONE
             Che?
 ENEA
                         La patria... Il cielo...
 DIDONE
 
    Parla.
 
 ENEA
 
                 Dovrei... Ma no...
 L'amor... oh dio! La fé...
 Ah che parlar non so,
 spiegalo tu per me. (Ad Osmida e parte)