Artaserse, Torino, Reale, 1757

 SCENA V
 
 Gabinetto negli appartamenti di Mandane.
 
 MANDANE, poi SEMIRA
 
 MANDANE
 O che all'uso de' mali
 istupidisca il senso o ch'abbian l'alme
 qualche parte di luce,
1345che presaghe le renda, io per Arbace,
 quanto dovrei, non so dolermi. Ancora
 l'infelice vivrà. Se fosse estinto,
 già purtroppo il saprei. Porta i disastri
 sollecita la fama.
 SEMIRA
                                 Alfin potrai
1350consolarti, Mandane. Il ciel t'arrise.
 MANDANE
 Forse il re sciolse Arbace?
 SEMIRA
                                                  Anzi l'uccise.
 MANDANE
 Come!
 SEMIRA
                È noto a ciascun; benché in segreto
 ei terminò la sua dolente sorte.
 MANDANE
 (Oh presagi fallaci! Oh giorno! Oh morte!)
 SEMIRA
1355Eccoti vendicata, ecco adempito
 il tuo genio crudel. Ti basta? O vuoi
 altre vittime ancor? Parla.
 MANDANE
                                                  Ah Semira!
 Soglion le cure lievi esser loquaci
 ma stupide le grandi.
 SEMIRA
                                          Alma non vidi
1360della tua più inumana. Al caso atroce
 non v'è ciglio che sappia
 serbarsi asciutto; e tu non piangi intanto?
 MANDANE
 Picciolo è il duol, quando permette il pianto.
 SEMIRA
 Va', se paga non sei, pasci i tuoi sguardi
1365su la trafitta spoglia
 del mio caro germano, osserva il seno,
 numera le ferite e lieta in faccia...
 MANDANE
 Taci, parti da me.
 SEMIRA
                                   Ch'io parta e taccia?
 Fin che vita ti resta,
1370sempre intorno m'avrai. Sempre importuna
 rendere i giorni tuoi voglio infelici.
 MANDANE
 E quando io meritai tanti nemici?
 
    Mi credi spietata?
 Mi chiami crudele?
1375Non tanto furore,
 non tante querele,
 che basta il dolore
 per farmi morir.
 
    Quell'odio, quell'ira
1380d'un'alma sdegnata,
 ingrata Semira,
 non posso soffrir. (Parte)