Didone abbandonata, Parigi, Quillau, 1755, II

 SCENA PRIMA
 
 Appartamenti reali con tavolino e sedia.
 
 SELENE ed ARASPE
 
 SELENE
 Chi fu che all'inumano
 disciolse le catene?
 ARASPE
 A me, bella Selene, il chiedi invano.
555Io prigioniero e reo,
 libero ed innocente in un momento
 sciolto mi vedo e sento
 fra' lacci il mio signore, il passo muovo
 a suo pro nella reggia e vel ritrovo.
 SELENE
560Ah contro Enea v'è qualche frode ordita.
 Difendi la sua vita.
 ARASPE
                                      È mio nemico;
 pur, se brami che Araspe
 dall'insidie il difenda,
 tel prometto; sin qui
565l'onor mio nol contrasta;
 ma ti basti così.
 SELENE
                                Così mi basta. (In atto di partire)
 ARASPE
 Ah non toglier sì tosto
 il piacer di mirarti agli occhi miei.
 SELENE
 Perché?
 ARASPE
                  Tacer dovrei ch'io sono amante;
570ma reo del mio delitto è il tuo sembiante.
 SELENE
 Araspe, il tuo valore,
 il volto tuo, la tua virtù mi piace;
 ma già pena il mio cor per altra face.
 ARASPE
 Quanto son sventurato!
 SELENE
                                             È più Selene.
575Se t'accende il mio volto,
 narri almen le tue pene ed io l'ascolto.
 Io l'incendio nascoso
 tacer non posso e palesar non oso.
 ARASPE
 Soffri almen la mia fede.
 SELENE
580Sì, ma da me non aspettar mercede.
 Se può la tua virtude
 amarmi a questa legge, io tel concedo.
 Ma non chieder di più.
 ARASPE
                                             Di più non chiedo.
 SELENE
 
    Ardi per me fedele,
585serba nel cor lo strale;
 ma non mi dir crudele,
 se non avrai mercé.
 
    Hanno sventura eguale
 la tua, la mia costanza;
590per te non v'è speranza,
 non v'è pietà per me. (Parte)