Didone abbandonata, Parigi, Quillau, 1755, II

 SCENA II
 
 IARBA con seguito di mori e detti
 
 IARBA
 Dove rivolge, dove
1025quest'eroe fuggitivo i legni e l'armi?
 Vuol portar guerra altrove
 o da me col fuggir cerca lo scampo?
 ENEA
 Ecco un novello inciampo.
 IARBA
 Per un momento il legno
1030può rimaner sul lido.
 Vieni, s'hai cor, meco a pugnar ti sfido.
 ENEA
 Vengo. Restate, amici, (Alle sue genti)
 che ad abbassar quel temerario orgoglio
 altri che il mio valor meco non voglio.
1035Eccomi a te; che pensi?
 IARBA
 Penso che all'ira mia
 la tua morte sarà poca vendetta.
 ENEA
 Per ora a contrastarmi
 non fai poco se pensi. All'armi.
 IARBA
                                                          All'armi. (Mentre si battono e Iarba va cedendo, i suoi mori vengono in aiuto di lui ed assalgono Enea)
 ENEA
1040Venga tutto il tuo regno.
 IARBA
 Difenditi se puoi.
 ENEA
                                   Non temo indegno. (I compagni d’Enea scendono in aiuto di lui ed attaccano i mori. Enea e Iarba combattendo entrano. Siegue zuffa fra i troiani e i mori. I mori fuggono e gli altri gli sieguono. Escono di nuovo combattendo Enea e Iarba che cade)
 Già cadesti e sei vinto. O tu mi cedi
 o trafiggo quel core.
 IARBA
                                       Invan lo chiedi.
 ENEA
 Se al vincitor sdegnato
1045non domandi pietà...
 IARBA
                                         Siegui il tuo fato.
 ENEA
 Sì mori... Ma che fo? No, vivi; invano
 tenti il mio cor con quell'insano orgoglio. (Parte)
 IARBA
 Son vinto sì ma non oppresso; almeno
 oggetto all'ire tue, sorte incostante,
1050Iarba sol non sarà.
 
    La caduta d'un regnante
 tutto un regno opprimerà. (Parte)