Didone abbandonata, Parigi, Quillau, 1755, II

 SCENA VIII
 
  Reggia con veduta della città di Cartagine in prospetto che poi s’incendia.
 
 DIDONE e poi OSMIDA
 
 DIDONE
 
    Va crescendo il mio tormento;
 io lo sento e non l'intendo;
 giusti dei, che mai sarà!
 
 OSMIDA
 Deh regina pietà.
 DIDONE
                                   Che rechi amico?
 OSMIDA
1145Ah no, così bel nome
 non merta un traditore,
 d'Enea, di te nemico e del tuo amore.
 DIDONE
 Come!
 OSMIDA
                Con la speranza
 di posseder Cartago,
1150m'offersi a Iarba; ei m'accettò; si valse
 finor di me; poi per mercé volea
 l'empio svenarmi; e mi difese Enea.
 DIDONE
 Reo di tanto delitto hai fronte ancora
 di presentarti a me?
 OSMIDA
                                        Sì, mia regina. (S’inginocchia)
1155Tu vedi un infelice
 che non spera il perdono e nol desia;
 chiedo a te per pietà la pena mia.
 DIDONE
 Sorgi; quante sventure!
 Misera me, sotto qual astro io nacqui?
1160Manca ne' miei più fidi...