Issipile, Parigi, Hérissant, 1780

 SCENA IX
 
 EURINOME e detti
 
 EURINOME
                              Pur ti ritrovo, o figlio.
 LEARCO
 Salvati, o madre.
 GIASONE
                                  Ah scellerata! A caso (Trattiene Eurinome)
 qui non giungesti. Issipile, t'arresta.
 Guardami, traditor. (A Learco) Libero appieno
 rendi Toante o la tua madre io sveno. (Issipile si ferma a mezzo il ponte e Giasone, impugnando uno stile, minaccia di ferire Eurinome)
 LEARCO
1125Come!
 EURINOME
                Che fu?
 RODOPE
                                 Qual cangiamento!
 LEARCO
                                                                      In lei
 non punire i miei falli. Il tuo nemico
 son io, Giasone.
 GIASONE
                                Il mio furor non lascia
 luogo a consiglio. È mio nemico ognuno
 che te non abborrisce. È rea costei
1130di mille colpe; e se d'ogni altra ancora
 fosse innocente, io non avrei rossore
 d'averle ingiustamente il sen trafitto.
 L'esser madre a Learco è un gran delitto.
 RODOPE
 Confuso è l'empio.
 ISSIPILE
                                     Eterni dei, prestate
1135adesso il vostro aiuto!
 GIASONE
 Barbaro, non risolvi?
 LEARCO
                                         Ho risoluto.
 Svenala pur. Ma venga
 e la legge primiera
 Issipile compisca.
 RODOPE
                                    Oh mostro!
 ISSIPILE
                                                           Oh fiera!
 GIASONE
1140A voi dunque, o d'Averno
 arbitre deità, questo offerisco
 orrido sacrifizio.
 LEARCO
                                 (Io tremo).
 GIASONE
                                                        A voi
 di vendicar nel figlio
 della madre lo scempio il peso resti.
1145Mori infelice. (Mostra di ferirla)
 LEARCO
                             Ah! Non ferir; vincesti.
 RODOPE
 E pur s'intenerì.
 EURINOME
                                 Deggio la vita,
 caro Learco, a te.
 LEARCO
                                  Poco il tuo figlio,
 Eurinome, conosci. È debolezza
 quella pietà che ammiri,
1150non è virtù. Vorrei poter l'aspetto
 sostener del tuo scempio
 e mi manca valore. Ad onta mia
 tremo, palpito e tutto
 agghiacciar nelle vene il sangue io sento.
1155Ah vilissimo cor! Né giusto sei
 né malvagio abbastanza; e questa sola
 dubbiezza tua la mia ruina affretta.
 Incominci da te la mia vendetta. (Si ferisce)
 EURINOME
 Ferma; che fai?
 LEARCO
                                Non spero
1160e non voglio perdono. Il morir mio
 sia simile alla vita. (Si getta in mare)
 EURINOME
                                      Io manco. Oh dio! (Sviene ed è condotta dentro)
 RODOPE
 Oh giustissimo ciel!
 GIASONE
                                       Correte, amici,
 a disciogliere il re. (Gli argonauti corrono su la nave)
 ISSIPILE
                                      Sposo, io non posso
 rassicurarmi ancor.
 RODOPE
                                       Quante vicende
1165un sol giorno adunò!
 TOANTE
                                        Principe! Figlia! (Scendendo dalla nave)
 ISSIPILE
 Padre!
 GIASONE
                Signor!
 ISSIPILE
                                Questa paterna mano
 torno pure a baciar. (Bacia la mano a Toante)
 TOANTE
                                        Posso al mio seno
 stringervi ancora. (Gli abbraccia)
 RODOPE
                                    I tollerati affanni
 l'allegrezza compensi
1170d'un felice imeneo.
 TOANTE
                                      Ma pria nel tempio
 rendiam grazie agli dei, che troppo, o figli,
 è perigliosa e vana,
 se da lor non comincia, ogni opra umana.
 CORO
 
    È follia d'un'alma stolta
1175nella colpa aver speranza;
 fortunata è ben talvolta
 ma tranquilla mai non fu.
 
    Nella sorte più serena
 di sé stesso il vizio è pena,
1180come premio è di sé stessa,
 benché oppressa, la virtù.
 
 FINE