Didone abbandonata, Torino, Reale, 1757, I

 SCENA VIII
 
 ENEA e poi IARBA
 
 ENEA
 Io sento vacillar la mia costanza
 a tanto amore appresso
 e mentre salvo altrui perdo me stesso.
 IARBA
 Che fa l'invitto Enea? Gli veggo ancora
825del passato timore i segni in volto.
 ENEA
 Iarba da' lacci è sciolto!
 Chi ti diè libertà?
 IARBA
                                    Permette Osmida
 che per entro la reggia io mi raggiri;
 ma vuol ch'io vada errando
830per sicurezza tua senza il mio brando.
 ENEA
 Così tradisce Osmida
 il comando real?
 IARBA
                                 Dimmi, che temi?
 Ch'io m'involi al castigo o a queste mura?
 Troppo vi resterò per tua sventura.
 ENEA
835La tua sorte presente
 è degna di pietà, non di timore.
 IARBA
 Risparmia al tuo gran core
 questa inutil pietà. So che a mio danno
 della reina irriti i sdegni insani.
840Solo in tal guisa sanno
 gli oltraggi vendicar gli eroi troiani.
 ENEA
 Leggi. La regal donna in questo foglio
 la tua morte segnò di propria mano.
 S'Enea fosse africano,
845Iarba estinto saria. Guarda ed impara,
 barbaro discortese,
 come vendica Enea le proprie offese. (Lacera il foglio)
 
    Vedi nel mio perdono,
 perfido traditor,
850quel generoso cor
 che tu non hai.
 
    Vedilo e dimmi poi
 se gli africani eroi
 tanta virtù nel seno
855ebbero mai. (Parte)