L’olimpiade, Vienna, van Ghelen, 1733

 SCENA IV
 
  Vasta campagna alle falde d’un monte, sparsa di capanne pastorali. Ponte rustico sul fiume Alfeo, composto di tronchi d’alberi rozzamente commessi. Veduta della città d’Olimpia in lontano, interrotta da poche piante che adornano la pianura ma non l’ingombrano.
 
 ARGENE in abito di pastorella tessendo ghirlande. Coro di ninfe e pastori tutti occupati in lavori pastorali. E poi ARISTEA con seguito
 
 CORO
 
    O care selve, o cara
 felice libertà!
 
 ARGENE
 
    Qui se un piacer si gode
 parte non v'ha la frode;
120ma lo condisce a gara
 amore e fedeltà.
 
 CORO
 
    O care selve, o cara
 felice libertà!
 
 ARGENE
 
    Qui poco ognun possiede
125e ricco ognun si crede;
 né più bramando impara
 che cosa è povertà.
 
 CORO
 
    O care selve, o cara
 felice libertà!
 
 ARGENE
 
130   Senza custodi o mura
 la pace è qui sicura,
 che l'altrui voglia avara
 onde allettar non ha.
 
 CORO
 
    O care selve, o cara
135felice libertà!
 
 ARGENE
 
    Qui gl'innocenti amori
 di ninfe... (S’alza da sedere)
 
                      Ecco Aristea.
 ARISTEA
                                                Siegui, o Licori.
 ARGENE
 Già il rozzo mio soggiorno
 torni a render felice, o principessa?
 ARISTEA
140Ah fuggir da me stessa
 potessi ancor, come dagli altri. Amica
 tu non sai qual funesto
 giorno per me sia questo.
 ARGENE
                                                 È questo un giorno
 glorioso per te. Di tua bellezza
145qual può l'età futura
 pruova aver più sicura? A conquistarti
 nell'olimpico agone
 tutto il fior della Grecia oggi s'espone.
 ARISTEA
 Ma chi bramo non v'è. Deh si proponga
150men funesta materia
 al nostro ragionar. Siedi Licori.
 Gl'interrotti lavori (Siede Aristea)
 riprendi e parla. Incominciasti un giorno
 a narrarmi i tuoi casi. Il tempo è questo
155di proseguirgli. Il mio dolor seduci,
 raddolcisci, se puoi,
 i miei tormenti in rammentando i tuoi.
 ARGENE
 Se avran tanta virtù, senza mercede
 non va la mia costanza. A te già dissi (Siede)
160che Argene è il nome mio, che in Creta io nacqui
 d'illustre sangue, e che gli affetti miei
 fur più nobili ancor de' miei natali.
 ARISTEA
 So fin qui.
 ARGENE
                       De' miei mali
 ecco il principio. Del cretense soglio
165Licida il regio erede
 fu la mia fiamma ed io la sua. Celammo
 prudenti un tempo il nostro amor; ma poi
 l'amor s'accrebbe; e, come in tutti avviene,
 la prudenza scemò. Comprese alcuno
170il favellar de' nostri sguardi; ad altri
 i sensi ne spiegò; di voce in voce
 tanto in breve si stese
 il maligno romor che il re l'intese.
 Se ne sdegnò; sgridonne il figlio; a lui
175vietò di più vedermi e col divieto
 gliene accrebbe il desio. Che aggiunge il vento
 fiamme alle fiamme; e più superbo un fiume
 fanno gli argini opposti. Ebro d'amore
 freme Licida e pensa
180di rapirmi e fuggir. Tutto il disegno
 spiega in un foglio; a me l'invia. Tradisce
 la fede il messo e al re lo reca. È chiuso
 in custodito albergo
 il mio povero amante. A me s'impone
185che a straniero consorte
 porga la destra. Io lo ricuso. Ognuno
 contro me si dichiara. Il re minaccia;
 mi sgridano i congiunti;
 mi condannan gli amici. Il padre mio
190vuol che al nodo acconsenta. Altro riparo
 che la fuga o la morte
 al mio caso non trovo. Il men funesto
 credo il più saggio; e l'eseguisco. Ignota
 in Elide pervenni. In queste selve
195mi proposi abitar. Qui fra pastori
 pastorella mi finsi; or son Licori.
 Ma serbo al caro bene
 fido in sen di Licori il cor d'Argene.
 ARISTEA
 Inver mi fai pietà. Ma la tua fuga
200non approvo però. Donzella e sola
 cercar contrade ignote,
 abbandonar...
 ARGENE
                             Dunque dovea la mano
 a Megacle donar?
 ARISTEA
                                   Megacle! (Oh nome!)
 Di qual Megacle parli?
 ARGENE
                                            Era lo sposo
205questi che il re mi destinò. Dovea
 dunque obbliar...
 ARISTEA
                                   Ne sai la patria?
 ARGENE
                                                                   Atene.
 ARISTEA
 Come in Creta pervenne?
 ARGENE
                                                  Amor vel trasse,
 com'ei stesso dicea, ramingo afflitto.
 Nel giungervi fu colto
210da stuol di masnadieri e oppresso ormai
 la vita vi perdea; Licida a sorte
 vi si avvenne e 'l salvò. Quindi fra loro
 fidi amici fur sempre. Amico al figlio,
 fu noto al padre; e dal reale impero
215destinato mi fu, perché straniero.
 ARISTEA
 Ma ti ricordi ancora
 le sue sembianze?
 ARGENE
                                    Io l'ho presente. Avea
 bionde le chiome, oscuro il ciglio, i labri
 vermigli sì ma tumidetti, e forse
220oltre il dover, gli sguardi
 lenti e pietosi, un arrossir frequente,
 un soave parlar... Ma... principessa
 tu cambi di color! Che avvenne?
 ARISTEA
                                                             Oh dio
 quel Megacle che pingi è l'idol mio.
 ARGENE
225Che dici!
 ARISTEA
                    Il vero. A lui
 lunga stagion già mio segreto amante
 perché nato in Atene
 niegommi il padre mio; né volle mai
 conoscerlo, vederlo,
230ascoltarlo una volta. Ei disperato
 da me partì; più nol rividi; e in questo
 punto da te so de' suoi casi il resto.
 ARGENE
 Inver sembrano i nostri
 favolosi accidenti.
 ARISTEA
                                    Ah s'ei sapesse
235ch'oggi per me qui si combatte!
 ARGENE
                                                            In Creta
 a lui voli un tuo servo; e tu procura
 la pugna differir.
 ARISTEA
                                  Come?
 ARGENE
                                                  Clisthene
 è pur tuo padre; ei qui presiede eletto
 arbitro delle cose; ei può, se vuole...
 ARISTEA
240Ma non vorrà.
 ARGENE
                             Che nuoce
 principessa il tentarlo?
 ARISTEA
                                             E ben, Clisthene
 vadasi a ritrovar. (S’alzano)
 ARGENE
                                   Fermati. Ei viene.