Metrica: interrogazione
154 settenari (pezzi chiusi) in Didone abbandonata Q1 
                Dovrei... Ma no...
L'amore... oh dio, la fé...
Ah che parlar non so, (Ad Osmida)
spiegalo tu per me. (Parte)
   Dirò che fida sei,
su la mia fé riposa;
sarò per te pietosa,
(per me crudel sarò).
   Sapranno i labbri miei
scoprirgli il tuo desio.
(Ma la mia pena, oh dio,
come nasconderò?) (Parte)
   Fra lo splendor del trono
belle le colpe sono,
perde l'orror l'inganno,
   Fuggir con frode il danno
può dubitar se lice
quell'anima infelice
che nacque in servitù. (Parte)
   Quando saprai chi sono,
   Brama lasciar le sponde
quel passaggiero ardente;
fra l'onde poi si pente,
se ad onta del nocchiero
dal lido si partì. (Parte)
   Ogni amator suppone
che della sua ferita
sia la beltà cagione;
ma la beltà non è.
   È un bel desio che nasce
allor che men s'aspetta;
si sente che diletta
ma non si sa perché. (Parte)
   Tu mi disarmi il fianco, (A Didone)
tu mi vorresti oppresso. (Ad Enea)
Ma sono ancor l'istesso,
ma non son vinto ancor.
   Soffro per or lo scorno.
Ma forse questo è il giorno
che domerò quell'alma, (A Didone)
che punirò quel cor. (Ad Enea)
   Non ha ragione, ingrato,
da chi giurogli fé?
   Anime innamorate,
   Perfido, tu lo sai
se in premio un tradimento
   E qual sarà tormento,
se questo mio non è? (Parte)
   Pensa che 'l trono aspetto,
che n'ho tua fede in pegno,
e che donando un regno
ti fai soggetto un re.
   Un re che tuo seguace
ti sarà fido in pace;
e se guerrier lo vuoi,
contro i nemici tuoi
combatterà per te. (Parte)
   Leon, ch'errando vada
per la natia contrada,
se un agnellin rimira,
non si commove all'ira
   Ma se venir si vede
orrida tigre in faccia,
l'assale e la minaccia,
perché sol quella crede
degna del suo furor. (Parte)
   Ardi per me fedele,
serba nel cor lo strale;
ma non mi dir crudele
se non avrai mercé.
   Hanno sventura uguale
la tua, la mia costanza.
Per te non v'è speranza,
non v'è pietà per me. (Parte)
   Ah non lasciarmi, no,
   Di vita mancherei
che viver non potrei
   Vedi nel mio perdono,
   Vedilo e dimmi poi
se gli africani eroi
tanta virtù nel seno
   Non cede all'austro irato
né teme allor che freme
quel monte che sublime
le cime inalza al ciel.
   Costante ad ogni oltraggio
sempre la fronte avvezza,
disprezza il caldo raggio,
non cura il freddo gel. (Parte)
   Chiamami pur così.
   Quel barbaro che sprezzi
non placheranno i vezzi;
né soffrirà l'inganno
quel barbaro da te. (Parte)
   Va lusingando amore
gli dice: «Sei felice»
   Per poco mi consolo;
ma più crudele io sento
poi ritornar quel duolo
che sol per un momento
   Vivi, superbo, e regna;
   E la tua pena sia
il rammentar che in dono
ti diè la vita e il trono
pietoso il vincitor. (Parte)
   Su la pendice alpina
dura la quercia antica
   Ma quando poi ruina
di mille etadi a fronte,
gran parte fa del monte
precipitar con sé. (Parte)
   A trionfar mi chiama
e già sopra il mio core
   Con generosa brama
fra i rischi e le ruine
di nuovi allori il crine
io volo a circondar. (Parte)
   Cadrà fra poco in cenere
il tuo nascente impero
e ignota al passaggiero
   Se a te del mio perdono
meno è la morte acerba,
soccorso né pietà. (Parte)
   Vado... Ma dove?... Oh dio!
Resto... Ma poi, che fo!

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