Metrica: interrogazione
1054 endecasillabi (recitativo) in Ezio B 
non celebrò d'ogni secondo lustro
l'ultimo dì. Di tante faci il lume,
l'applauso popolar turba alla notte
più non invidia il suo felice Augusto.
che a mio favor sino alle stelle invia
il popolo fedel, le pompe ammiro,
attendo il vincitor, tutte cagioni
di gioie a me. Ma la più grande è quella
che io possa offrir con la mia destra in dono
ricco di palme alla tua figlia il trono.
apprese Fulvia a non bramare un soglio
dall'istessa umiltà. Cesare imponga;
la figlia eseguirà.
                                 Fulvia io vorrei
amante più, men rispettosa.
                                                     È vano
que' pregi in te che l'universo ammira.
(Il mio rispetto alla vendetta aspira).
Ezio s'avanza. Io già le prime insegne
veggo appressarsi.
                                    Il vincitor s'ascolti;
ne' doni che mi fa la sorte amica. (Valentiniano va sul trono servito da Varo)
(Io però non oblio l'ingiuria antica).
Signor vincemmo. Ai gelidi Trioni
fuggitivo ritorna. Il primo io sono
Attila impallidir. Non vide il sole
più numerosa strage. A tante morti
era angusto il terreno; il sangue corse
si udian confuse; e fra i timori e l'ire
i forti, i vili, i vincitori, i vinti.
la vittoria ondeggiò. Teme, dispera,
impacci al suo fuggir, l'acquisto a noi.
ecco l'armi, l'insegne e le bandiere.
d'Attila sol; nel debellarlo, ancora
vincesti i voti miei. Tu rassicuri
su la mia fronte il vacillante alloro;
alla tua mente, alla tua destra audace
l'Italia tutta e libertade e pace.
tutta non deve a me; v'è chi gli deve
solo al proprio valore. All'Adria in seno
un popolo d'eroi s'aduna e cangia
all'ocean la libertà dell'onde;
stupido resta il pellegrin che vede
sorger le mura, ove ondeggiar le navi.
d'Antenore la prole? È noto a noi
dell'incendio crudel, che Attila accese,
e in grembo al mar la libertà difese.
la novella cittade e volgo in mente
se nascente è così.
                                   Cesare io veggo
i semi in lei delle future imprese.
Già s'avvezza a regnar. Sudditi i mari
temeranno i suoi cenni; argine all'ire
sarà de' regi; e porterà felice
con mille vele e mille aperte al vento
ai tiranni dell'Asia alto spavento.
secondi il ciel. Fra queste braccia intanto (Scende dal trono)
tu del cadente impero e mio sostegno
prendi d'amore un pegno. A te non posso
offrir che i doni tuoi. Serbami amico
il più nobile acquisto, Ezio, tu sei.
alla gloria, al dover; qualche momento
concedi all'amistà; lascia ch'io stringa
quella man vincitrice. (Massimo prende per mano Ezio)
                                           Io godo, amico,
m'è l'amor tuo de' miei trionfi al paro.
Che fa? Dov'è? Quando ciascun s'affretta
su le mie pompe ad appagar le ciglia
la tua figlia non viene?
                                           Ecco la figlia.
torna il tuo sposo e al volto tuo gran parte
deve de' suoi trofei. Fra l'armi e l'ire
e la gloria e l'amor; né vinto avrei,
erano solo i trionfali allori.
ti veggio impallidir! Dopo la nostra
lontananza crudel così m'accogli?
Mi consoli così?
                               (Che pena!) Io vengo...
Fulvia, con me! Perché non dir «mio fido»?
Perché «sposo» non dirmi? Ah tu non sei
per me quella che fosti.
                                            Oh dio, son quella.
Ma senti... Ah genitor per me favella.
Massimo, non tacer.
                                       Tacqui finora
perché co' nostri mali a te non volli
le gioie avvelenar. Si vive, amico,
sotto un giogo crudele. Anche i pensieri
imparano a servir. La tua vittoria,
Ezio, ci toglie alle straniere offese,
le domestiche accresce. Era il timore
a Cesare di freno; or che vincesti,
più superbo soffrirlo e più tiranno.
la tirannide sua mi fu nascosa.
Che pretende? Che vuol?
                                                Vuol la tua sposa.
La sposa mia! Massimo, Fulvia, e voi
consentite a tradirmi?
                                           Ahimè!
                                                            Qual arte,
qual consiglio adoprar? Vuoi che l'esponga,
d'un tiranno al piacer? Vuoi che su l'orme
l'esempio in lei della tragedia antica?
vendicare i tuoi torti. Arbitro sei
del popolo e dell'armi. A Roma oppressa,
dovresti una vendetta. Alfin tu sai
d'un empio re.
                             Che dici mai! L'affanno
vince la tua virtù. Giudice ingiusto
delle cose è il dolor. Sono i monarchi
di loro è il cielo. Ogni altra via si tenti
ma non l'infedeltade.
                                         Anima grande. (Massimo abbraccia Ezio)
ammiro la tua fé che più costante
(Cangiar favella e simular conviene).
la sua Fulvia abbandona ad altri in braccio?
disciolta ancora. Io parlerò, vedrai
tutto cangiar d'aspetto.
                                            Oh dio! Se parli
temo per te.
                         L'imperador finora
dunque non sa che io t'amo?
                                                      Il vostro amore
per tema io gli celai.
                                       Questo è l'errore.
Cesare non ha colpa; al nome mio
avria cangiato affetto. Egli conosce
quanto mi deve e sa ch'opra da saggio
l'irritarmi non è.
                                 Tanto ti fidi?
mi turban l'alma. È troppo amante Augusto,
troppo ardente tu sei. Rifletti, oh dio!
pria di parlar. Qualche funesto evento
mi presagisce il cor. Nacqui infelice
che la sorte per me giammai si cangi.
Son vincitor, sai che t'adoro e piangi?
che uno sfogo conceda al mio rispetto.
prometti la mia destra, indi m'imponi
di Cesare l'amore e m'assicuri
che di lui non sarò. Servo al tuo cenno,
credo alla tua promessa e quando spero
ti sento dir che lo sperarlo è vano.
mai non ebbi in pensier. T'accheta, alfine
il talamo di Augusto.
                                        E soffrirai
insultò l'onestà? Così ti scordi
l'offese dell'onor? Così t'abbagli
del trono allo splendor?
                                            Vieni al mio seno
degna parte di me. Quell'odio illustre
ciò che dovrei celar. Sappi che ad arte
dell'onor mio dissimulai l'offese.
il luogo alla vendetta. Ora è vicina,
eseguirla dobbiam. Sposa al tiranno,
agio puoi darmi a trapassargli il seno.
coll'idea di tradirlo? Il reo disegno
mi leggerebbe in faccia. Ai gran delitti
è compagno il timor. L'alma ripiena
teme sé stessa. È qualche volta il reo
felice sì, non mai sicuro. E poi
il popolo saria.
                             L'odia ciascuno,
vano è il timor.
                              T'inganni; il volgo insano
che vivente abborrisce, estinto adora.
Tu l'odio mi rammenti e poi dimostri
che disapprovi in me!
                                          Signor, perdona
se libera ti parlo. Un tradimento
che una viltà condanno.
                                             Io ti credea,
Fulvia, più saggia e men soggetta a questi
di colpa e di virtù lacci servili,
inutili alle grandi.
                                   Ah non son questi
que' semi di virtù che in me versasti
da' miei primi vagiti infino ad ora.
M'inganni adesso o m'ingannasti allora?
vuol massime diverse; altro a' fanciulli,
altro agli adulti è d'insegnar permesso.
Allora io t'ingannai.
                                      M'inganni adesso.
che l'amor di virtù nasce con noi,
l'alma ha l'idea di ciò che nuoce o giova,
mel dicesti, io lo sento, ogniun lo prova.
E se vuoi dirmi il ver, tu stesso, o padre,
l'orror d'un tradimento, orror ne senti.
pensa alla gloria tua, pensa che vai...
Taci importuna, io t'ho sofferta assai.
Non dar consigli o consigliar se brami
Rammenta ch'io son padre e tu sei figlia.
Che sventura è la mia! Così ripiena
di malvagi è la terra e quando poi
un malvagio vogl'io, son tutti eroi.
d'Ezio gli sdegni ad irritar non basta;
la figlia mi contrasta. Eh di riguardi
tempo non è. Precipitare omai
il colpo converrà. Troppo parlai.
mora Cesare, mora. Emilio il braccio
mi presterà. Che può avvenirne? O cade
Valentiniano estinto; e pago io sono.
O resta in vita; ed io farò che sembri
Ezio il fellon. Facile impresa. Augusto
rivale all'amor suo, senz'opra mia
il reo lo crederà. S'altro succede,
è il consiglio miglior d'ogni consiglio.
non delle sue vittorie; esse abbastanza
note mi son. Con qual sembiante accolse
l'applauso popolar? Serbava in volto
la guerriera fierezza? Il suo trionfo
gli accrebbe fasto o mansueto il rese?
Questo narrami, o Varo, e non l'imprese.
se degli acquisti suoi più che di lui
curiosa io credei. Sembrano queste
d'amante più che di sovrana.
                                                      È troppa
misera servitù! Due volte appena
un nome replicar che siamo amanti.
del suo valor, delle sue gesta e vanno
d'Ezio incontro al ritorno; Onoria sola
non v'accorse, nol vide e pur non basta.
anche d'amore è segno.
                                            Alla tua fede,
al tuo lungo servir tolero, o Varo,
di parlarmi così. Ma la distanza,
ch'è dal suo grado al mio, teco dovrebbe
difendermi abbastanza.
                                             Ogniuno ammira
d'Ezio il valor, Roma l'adora, il mondo
pieno è del nome suo, fino i nemici
ingiustizia saria negargli affetto.
ad Ezio amico, il suo poter non devi
esagerar così; Cesare è troppo
Vantandolo al germano, ufficio grato
Chi sa! Potrebbe un dì... Varo m'intendi.
più cauto parlerò; ma tu se l'ami
meno ingegnosa in tormentar te stessa.
tiranna degli affetti, e perché mai
la libertà d'un ineguale amore,
se a difender non basti il nostro cuore?
seco parlar, che qui l'attendo. (Uscendo ad una comparsa che ricevuto l’ordine parte) Amico
la gloria di costui; ciascun mi parla
delle conquiste sue. Roma lo chiama
il suo liberator; egli sé stesso
troppo conosce. Assicurarmi io deggio
della sua fedeltà. Voglio d'Onoria
al talamo innalzarlo, acciò che sia
suo premio il nodo e sicurezza mia.
Veramente per lui giunge all'eccesso
l'idolatria del volgo; omai si scorda
Ezio fedele e il dubitarne è vano.
Se però tal non fosse, a me parrebbe
tanto innalzarlo.
                                Un sì gran dono ammorza
l'ambizion d'un'alma.
                                          Anzi l'accende.
Quando è vasto l'incendio, è l'onda istessa
alimento alla fiamma.
                                          E come io spero
sicurezza miglior? Vuoi ch'io m'impegni
su l'orme de' tiranni, e che io divenga
all'odio universale oggetto e segno?
è il soffrir l'odio altrui. Giova al regnante
più l'odio che l'amor. Con chi l'offende
ha più ragion d'esercitar l'impero.
teme l'altrui timor. Tutti gli estremi
confinano fra loro. Un dì potrebbe
per soverchio timor rendersi audace.
sai l'arte di regnare. Hanno i monarchi
un lume ignoto a noi. Parlai finora
per zelo sol del tuo riposo e volli
ad un periglio opporsi infin ch'è lieve.
sembra il regno a chi sta lunge dal trono.
dono infelice a chi gli sta dappresso.
Eccomi al cenno tuo.
                                       Duce un momento
non posso tolerar d'esserti ingrato.
la mia grandezza, il mio riposo e tutto
del senno tuo, del tuo valore è frutto.
anche del soglio mio, rendo e non dono.
Onde in tanta ricchezza, allor che bramo
l'opre premiar d'un vincitore amico,
trovo, ch'il crederia? ch'io son mendico.
a pro di Roma, a pro di te sudai,
nell'opra istessa io la mercé trovai.
Che mi resta a bramar? L'amor d'Augusto
basta questo al mio cor.
                                             Non basta al mio.
Cesare non poté, tentollo almeno.
darti pegno maggior non posso mai.
Sposo d'Onoria al nuovo dì sarai.
(Che ascolto!)
                            Non rispondi?
                                                         Onor sì grande
mi sorprende a ragion. D'Onoria il grado
ed io regni non ho, suddito io sono.
è maggior d'ogni re. Se non possiedi,
tu doni i regni; e il possedergli è caso;
il donargli è virtù.
                                   La tua germana,
progenie di monarchi e meco unita
vassalli produrrà. Sai che con questi
ella a me scende, io non m'innalzo a lei.
nell'illustre imeneo punto non perde.
E se perdesse ancor, quando all'imprese
non può lagnarsi e la germana e il mondo.
per esser grato ad uno, a tanti ingiusto.
con franchezza una volta. Il tuo rispetto
è un pretesto al rifiuto. Alfin che brami?
Forse è picciolo il dono? O vuoi per sempre
Cesare debitor? Superbo al paro
è colui che ricusa ogni mercede.
sia d'esempio alla mia. Signor tu credi
premiarmi e mi punisci.
                                               Io non sapea
una sposa germana al tuo regnante.
Non è gran premio a chi d'un'altra è amante.
Dov'è questa beltà che tanto indietro
lascia il merto d'Onoria? È a me soggetta?
Onora i regni miei? Stringer vogl'io
Spiegami il nome suo.
                                           Fulvia è il mio bene.
                Appunto. (Si turba).
                                                       (O sorte!) Ed ella
(Contro lei non s'irriti).
                                             Il suo consenso
Quello sarà mia cura, il tuo mi basta.
ragione aver sopra gli affetti suoi.
Dubitarne non puoi. Dov'è chi ardisca
involar temerario una mercede
alla man che di Roma il giogo scosse?
Costui non veggo.
                                  E se costui vi fosse?
gli affetti suoi come gl'imperi altrui.
Temer dovrebbe...
                                    E se foss'io costui?
se costasse uno sforzo al cor d'Augusto.
Ma non chiede un vassallo al suo sovrano
Ma Cesare è il sovrano, Ezio lo chiede.
senza premio servì; Cesare a cui
è noto il suo dover, che i suoi riposi
sa che gode per me, che al voler mio
sa che rende, e non dona, e che un momento
per tema sol di comparirmi ingrato.
nel rammentare io stesso i merti tuoi
di scemartene il peso.
                                          Io gli rammento
Non più. Dicesti assai; tutto comprendo.
d'opporsi all'amor mio.
                                            Ti leggo in volto,
Ezio, l'ire del cor. Forse ad Augusto
ragionasti di me?
                                  Sì, ma celai
a lui che m'ami, onde temer non dei.
Che disse alla richiesta? E che rispose?
si turbò, me ne avvidi a qualche segno,
ma non osò di palesar lo sdegno.
Questo è il peggior presagio. A vendicarsi
chi ha ragion di sdegnarsi e non si sdegna.
sono immensi con te. Volle il germano
sino alla tua; ma tu però più giusto
d'esserne indegno hai persuaso Augusto.
questo non è. L'obbligo grande è quello
ch'io fui cagion nel conservarle il soglio
ch'or mi possa parlar con questo orgoglio.
È ver, ti deggio assai. Perciò mi spiace
che ad onta mia mi rendano le stelle
di funeste novelle apportatrice.
Cesare al nuovo dì.
                                     Come?
                                                     Che sento!
egl'istesso or m'impose. Ezio, dovresti
consolartene alfin; veder soggetto
tutto il mondo al suo ben pure è diletto.
Ah questo è troppo! A troppo gran cimento
d'Ezio la fedeltà Cesare espone.
ha sugli affetti miei? Fulvia rapirmi?
Disprezzarmi così? Forse pretende
di tragedie per lui scena funesta?
Ezio minaccia? E la sua fede è questa?
Onoria, i suoi trasporti. Ezio è fedele.
Parla così da disperato amante.
troppa pietà per lui, troppo timore;
fosse mai la pietà segno d'amore?
Principessa m'offendi. Assai conosco
Non ti sdegnar così, questo è un sospetto.
tanta fede ai sospetti, Onoria ancora
dubitar ne faria. Da' sdegni tuoi
come soffri un rifiuto anch'io m'avvedo;
dovrei crederti amante; e pur nol credo.
con un sospetto al fasto mio nemico,
dovrei dirti arrogante; e pur nol dico.
sempre nuovi disastri. Onoria irrita,
rendi Augusto geloso, Ezio infelice,
toglimi il padre ancor. Toglier giammai
l'amor non mi potrai, che a tuo dispetto
trionfo di costanza il tuo rigore.
Qual silenzio è mai questo! È tutto in pace
l'imperiale albergo; in Oriente
suon di voci non odo, alcun non miro.
aver compito il colpo. Ei mi promise
nel tiranno punir tutti i miei torti
e pigro...
                   Ah genitor!
                                          Figlia che porti?
Che mai facesti!
                                Io nulla feci.
                                                         Oh dio!
Fu Cesare assalito. Io già comprendo
donde nasce il pensier. Padre, tu sei
Ma Cesare morì?
                                  Pensa a salvarti.
Dimmi se vive o se rimase estinto.
compresi nel timor.
                                      Sei pur codarda.
Ogni via custodite ed ogni ingresso. (Parlando ad alcuni di essi che partono)
(Egli vive! O destin!)
                                         Massimo, Fulvia,
chi creduto l'avria?
                                     Signor che avvenne?
Ah maggior fellonia mai non s'intese!
(Misero genitor!) (Da sé)
                                   (Tutto comprese).
Di chi deggio fidarmi? I miei più cari
un'anima sì rea trovarsi mai?
Massimo, e pur si trova e tu lo sai.
le vite de' monarchi. Emilio invano
trafiggermi sperò; nel sonno immerso
credea trovarmi e s'ingannò. L'intesi
l'ingresso penetrare. Ai dubbi passi,
previdi un tradimento. In piè balzai,
strinsi un acciar; contro il fellon che fugge
fra l'ombre i colpi affretto; accorre al grido
stuol di custodi e delle aperte logge
mi veggo al lume inaspettato e nuovo
sanguigno il ferro, il traditor non trovo.
Forse Emilio non fu.
                                       La nota voce
ben riconobbi al grido, onde si dolse
allor che lo piagai.
                                   Ma per qual fine
un tuo servo arrischiarsi al colpo indegno?
Il servo lo tentò, d'altri è il disegno.
in traccia del fellon. (In atto di partire)
                                       Cura è di Varo.
Tu non partire.
                              (Ah son perduto!) Io forse
meglio di lui potrò...
                                       Massimo amico,
non lasciarmi così; se tu mi lasci
donde spero consiglio e donde aita?
T'ubbidisco. (Io respiro).
                                                (Io torno in vita).
tu credi autor?
                             Puoi dubitarne? In esso
Ezio non riconosci? Ah se mai posso
convincerlo abbastanza, i giorni suoi
(Mancava all'alma mia quest'altro affanno).
in Ezio un traditor. D'esserlo almeno
non ha ragion. Benignamente accolto...
applaudito da te... come avria core?
l'ambizion, la gelosia, la lode
contamina talor d'altrui la fede.
Eh potrebbe scordarsi il suo dovere.
Tu lo conosci ed in tal guisa, o padre,
parli di lui?
                        Son d'Ezio amico, è vero,
ma suddito d'Augusto.
                                           E Fulvia tanto
difende un traditore? Ah che il sospetto
del geloso mio cor vero diviene.
d'altro amor che del tuo? T'inganni; in lei
è pietà la difesa e non amore.
la fanno impietosir. Del sesso imbelle
la natia debolezza ancor non sai?
Cesare invano il traditor cercai.
Ma dove si celò?
                                La nostra cura
non poté rinvenirlo.
                                      E deggio in questa
incertezza restar? Di chi fidarmi?
Di chi temer? Stato peggior del mio
vedeste mai?
                           Ti rassicura. Un colpo,
che a vuoto andò, del traditor scompone
tutta la trama. Io cercherò d'Emilio,
io veglierò per te. Del tutto ignoto
l'insidiator non è. Per tua salvezza
d'alcuno intanto assicurar ti puoi.
Deh m'assistete, io mi riposo in voi.
Ezio incolpar? Chi ti consiglia, o padre?
è riparo alla mia. Della vendetta
mi agevola il sentier. S'ei resta oppresso
non ha difesa Augusto. Or vedi quanto
è necessaria a noi. Troppo maggiore
questa cura saria. Lasciane il peso
e più saggio è di te.
                                     Dunque ti renda
l'età più giusto ed il saper.
                                                  Se tento
l'onor mio vendicar, non sono ingiusto.
E se lo fossi ancor, presa è la via
ed a ritrarne il piè tardi saria.
Non è mai troppo tardi onde si rieda
per le vie di virtù. Torna innocente
chi detesta l'error.
                                   Posso una volta
ottener che non parli? Alfin che brami?
ciò che da me apprendesti? O vuoi ch'io serva
al tuo debole amor? Fulvia, raffrena
e in avvenir non irritarmi e taci.
Ch'io taccia e non t'irriti allor che veggio
te reo del gran misfatto, Ezio tradito?
Lo toleri chi può; d'ogni rispetto
rispettosa mi vuoi, cangia il comando.
che vuoi sacrificarmi al tuo desio.
che nulla ti nascose, empia, t'abusa
e per salvar l'amante il padre accusa.
Che fo? Dove mi volgo? E qual delitto
è il parlar e il tacer? Se parlo, oh dio!
son parricida e nel pensarlo io tremo.
giunge il mio bene. Ah che all'idea funesta
s'agghiaccia il sangue e intorno al cor s'arresta.
Ezio, dove t'inoltri? Ove ten vai? (Vedendo Ezio)
In difesa d'Augusto. Intesi...
                                                     Ah fuggi.
cade il sospetto.
                               In me! Fulvia t'inganni.
della mia fedeltà. Chi seppe ogni altro
maggior d'ogni calunnia anche si rese.
Ma se Cesare istesso il reo ti chiama,
s'io stessa l'ascoltai.
                                      Può dirlo Augusto
ma crederlo non può; s'anche un momento
giungesse a dubitarne, ove si volga
vede la mia difesa; Italia, il mondo,
la sua grandezza, il conservato impero
rinfacciar gli saprà che non è vero.
vendicata saria; ma chi m'accerta
d'una pronta difesa? Ah s'io ti perdo,
della perdita tua non mi consola.
Fuggi se m'ami, al mio timor t'invola.
Tu per soverchio affetto, ove non sono
ti figuri i perigli.
                                 E dove fondi
Forse nel tuo valore? Ezio, gli eroi
son pur mortali e il numero gli opprime;
forse nel merto? Ah che per questo, o caro,
il merto appunto è il tuo maggior nemico.
La sicurezza mia, Fulvia, è riposta
che rimorsi non ha, nell'innocenza,
che paga è di sé stessa, in questa mano
necessaria all'impero. Augusto alfine
qual dura impresa è ristorarne il danno.
di Cesare la vita? Al suo riparo
                 Cesare appunto a te m'invia.
Non vuol questo da te, vuol la tua spada.
                Il previdi.
                                     E qual follia lo mosse?
E possibil sarà?
                               Così non fosse.
e la sventura mia che mi riduce
un ufficio a compir contrario tanto
alla nostra amicizia, al genio antico.
Prendi. Augusto compiangi e non l'amico. (Gli dà la spada)
Varo, se amasti mai, de' nostri affetti
pietà dimostra e d'un oppresso amico
difendi l'innocenza.
                                      Or che m'è noto
il vostro amor, la pena mia s'accresce
e giovarvi io vorrei; ma troppo, oh dio!
Ezio è di sé nemico; ei parla in guisa
che irrita Augusto.
                                    Il suo costume altero
è palese a ciascuno. Omai dovrebbe
non essergli delitto. Alfin tu vedi
che se de' merti suoi così favella,
Qualche volta è virtù tacere il vero.
è segno d'amistà. Saprò per lui
ma voglia il ciel che inutile non sia.
Non dir così; niega agli afflitti aita
chi dubbiosa la porge.
                                          Egli è sicuro
sol che tu voglia; a Cesare ti dona
e consorte di lui tutto potrai.
fuor che ad Ezio donarmi ah non fia vero.
Ma, Fulvia, per salvarlo in qualche parte
ceder convien. Tu puoi l'ira d'Augusto
sola placar, non differirlo e in seno
se amor non hai per lui, fingilo almeno.
ma chi sa con qual sorte. È sempre un fallo
che vi repugna il core.
                                          In simil caso
E poi non è gran pena al vostro sesso.
Folle è colui che al tuo favor si fida,
instabile fortuna. Ezio felice
della romana gioventù poc'anzi
misura ai voti; e in un momento poi
che dell'altrui pietà si rende oggetto.
folle è colui che al tuo favor si fida.
Massimo, anch'io lo veggo, ogni ragione
Ezio condanna. Egli è rival d'Augusto,
crede il mondo soggetto; e poi che giova
mendicarne argomenti? Io stessa intesi
le sue minacce, ecco l'effetto. E pure
reo non sa figurarlo e traditore.
O virtù senza pari! È questo invero
eccesso di clemenza. E chi dovrebbe
più di te condannarlo? Ei ti disprezza,
contesa dai monarchi. Ogni altra avria...
non ragionarmi più. Quella mi punse
nel più vivo del cor. Superbo! Ingrato!
tutto il sangue agitar, Massimo, io sento.
Non già però ch'io l'ami o che mi spiaccia
di non essergli sposa; il grado offeso...
son le cagioni...
                              Eh lo conosco anch'io;
ma nol conosce ogniun. Sai che si crede
che la virtude altrui. La tua clemenza
può comparire amor. Questo sospetto
puoi dileguar. Non abborrire alfine
tanta clemenza a nuovi oltraggi alletta.
Le mie private offese ora non sono
la maggior cura. Esaminar conviene
del germano i perigli. Ezio s'ascolti,
esser egli innocente.
                                       È vero, e poi
la tua destra accettar...
                                           La destra mia!
Eh non tanto sé stessa Onoria obblia.
anche signor dell'universo intero,
non mi speri ottener, mai non fia vero.
facile a lusingarsi! E pur ei dice
che ha in pugno il tuo voler, che tu l'adori,
che s'ei vuol basta un guardo e sei placata.
che lungamente il creda; al primo sposo
che suddito non sia saprò donarmi.
e s'ei d'Onoria a suo piacer dispone. (In atto di partire)
Onoria, non partir. Per mio riposo,
forse poco a te caro offrir la mano;
questi ci offese, è ver; ma il nostro stato
assicurar dobbiamo. Ei ti richiede
acconsentir conviene.
                                         (Ezio è pentito).
M'è noto il nome suo?
                                          Purtroppo. Ho pena
germana in proferirlo. Io dal tuo labbro
rimproveri n'attendo; a me dirai
ch'è reo di poca fé, che son gli oltraggi
troppo recenti. Io lo conosco e pure,
è forza che a tal nodo io ti consigli.
(Rifiutarlo or dovrei ma...) Senti; alfine,
disponi del mio cor come a te piace.
io non intendo; Ezio t'insidia e pensi
Ad Ezio io non pensai, d'Attila io parlo.
la richiesta in un foglio. È questo un segno
che il suo fasto mancò. Non è l'offerta
vergognosa per te. Stringi uno sposo
a cui servono i re. Barbaro, è vero,
la barbarie cangiar tutta in valore...
Ezio sa la richiesta?
                                      E che? Degg'io
consigliarmi con lui? Questo a che giova?
Giova per avvilirlo e perché meno
utile più d'ogni altra è questa mano.
Attila assicurar?
                                No, prima io voglio
vederti salvo. Il traditor si cerchi,
Onoria spiegherà gli affetti suoi.
il prigionier. Ne' miei timori io cerco
da te consiglio. Assicurarmi in parte
potrà d'Attila il nodo?
                                          Anzi ti espone
a periglio maggior. Cerca il nemico
sopir la cura tua, fingersi umano,
avvicinarsi a te; chi sa che ad Ezio
non sia congiunto? Il temerario colpo
gran certezza suppone; e poi t'è noto
che ad Attila già vinto Ezio alla fuga
lasciò libero il passo e a te dovea
ma non volle e potea.
                                        Purtroppo è vero.
i miei timori. È il traditor palese?
È in salvo la tua vita?
                                         E Fulvia ha tanta
                        Puoi dubitarne? Adoro
in Cesare un amante a cui fra poco
annodarmi dovrò. (So dirlo appena).
(Simula o dice il ver?)
                                           Se il mio periglio
amorosa pietà ti desta in seno,
grata al mio cor la sicurezza è meno.
della tua fedeltà?
                                 Per finch'io viva
de' miei teneri affetti avrai l'impero.
(Ezio perdona).
                               (Io non comprendo il vero).
la fellonia, saresti già mia sposa.
costerà la tardanza.
                                     Il gran delitto
dovresti vendicar. Ma chi dall'ira
assicurar ci può? Pensaci, Augusto,
Questo sol mi trattiene.
                                             (Or Fulvia intendo).
E se fosse innocente? Eccoti privo
d'un gran sostegno, eccoti esposto ai colpi
eccoti in odio... Ah mi si agghiaccia il core.
Volesse il ciel che reo non fosse. Ei viene
qui per mio cenno.
                                     (Ah che farò!)
                                                                 Vedrai
ne' suoi detti qual è.
                                       Lascia ch'io parta.
meglio il reo parlerà.
                                        No, resta.
                                                            Augusto,
Come! Suddita io sono e tu vorrai...
chi ha vassallo il monarca.
                                                 Ah non conviene...
Non più, comincia ad avvezzarti al trono.
              Ubbidisco. (In qual cimento io sono!) (Siede alla destra di Valentiniano)
(Resisti anima mia).
                                        Duce t'avanza.
Il giudice qual è? Pende il mio fato
da Cesare o da Fulvia?
                                           E Fulvia ed io
siamo un giudice solo; ella è sovrana
or che in lacci di sposo a lei mi stringo.
(Donna infedel!)
                                 (Potessi dir che fingo).
Ezio, m'ascolta e a moderare impara
per poco almeno il naturale orgoglio
che giovarti non può. Qui si cospira
contro di me; del tradimento autore
ti crede ogniun; di fellonia t'accusa
il rifiuto d'Onoria, il troppo fasto
delle vittorie tue, l'aperto scampo
ad Attila permesso, il tuo geloso
e temerario amor, le tue minacce
di cui tu sai che testimonio io sono.
Pensa a scolparti o a meritar perdono.
(Sorte non mi tradir).
                                          Cesare, invero
ingegnoso è il pretesto. Ove s'asconde
costui che t'assalì? Chi dell'insidia
autor mi afferma? Accusator tu sei
giudice e testimonio a un tempo istesso.
(Oh dio! Si perde).
                                     (E soffrirò l'altero?)
perché si appone a me? Perché d'Onoria
la destra ricusai. Dunque ad Augusto
serbai la libertà col mio sudore
perché a me la togliesse anche in amore?
che mi convince reo. Dunque io dovea
Attila imprigionar, perché d'Europa
senza il timor, che le congiunge a noi,
si volgessero poi contro l'impero?
Cerca per queste imprese altro guerriero.
qual io mi sia, perché di me ragiono.
L'alme vili a sé stesse ignote sono.
(Partir potessi).
                               Un nuovo fallo è questa
temeraria difesa. Altro t'avanza
per tua discolpa ancor?
                                            Dissi abbastanza.
tutto il resto ascoltar ch'io dir potrei.
chi solleva un ingrato. Anche ai sovrani
de' sudditi il valor, che a te dispiace
d'essermi debitor, che tu paventi
che sai di meritar quando mi privi
                     Superbo a questo eccesso arrivi?
                    Punir saprò...
                                               Soffri se m'ami
che Fulvia parta, i vostri sdegni irrita (S’alza)
l'aspetto mio.
                           No, non partir. Tu scorgi
che mi sdegno a ragion. Siedi e vedrai
(Donna infedel!)
                                 (Potessi dir che fingo). (Torna a sedere)
(Tutto finor mi giova).
                                           Ezio, tu sei
d'ogni colpa innocente. Invido Augusto
di cotesta tua gloria il tutto ha finto.
dall'eccelsa tua mente. Al suo sovrano
il suddito è ribelle?
                                     E al suo vassallo
che il prevenne in amor, quando la tolga,
il sovrano è tiranno?
                                       A quel che dici
dunque Fulvia t'amò!
                                         (Che pena!)
                                                                  A lui
togli, o cara, un inganno e di' s'io fui
se l'ultimo sarò; spiegalo.
                                                È vero. (A Valentiniano)
Ah perfida, ah spergiura! A questo colpo
Vedi se t'ingannò la tua speranza. (Ad Ezio)
Non trionfar di me; troppo ti fidi
d'una donna incostante. A lei la cura
lascio di vendicarmi; io mi lusingo
che il proverai.
                              (Né posso dir che fingo).
(E Fulvia non si perde).
                                             In questo stato
non conosco me stesso. In faccia a lei (Fulvia cava il fazzoletto)
mi si divide il cor. Pena maggiore,
Massimo, da che nacqui io non provai.
(Io mi sento morir). (S’alza piangendo e vuol partire)
                                        Fulvia, che fai?
Voglio partir, che a tanti ingiusti oltraggi
più non resisto.
                               Anzi t'arresta e siegui
a punirlo così.
                            No, te ne priego,
lascia ch'io vada.
                                 Io nol consento. Afferma
che sospiri per me, ch'io ti son caro,
Ma se vero non è, s'egli è il mio bene.
                    (Ahimè!)
                                        Respiro.
                                                          E sino a quando
dissimular dovrò? Finsi finora,
Cesare, per placarti. Ezio innocente
salvar credei; per lui mi struggo e sappi
ch'io non t'amo da vero e non t'amai.
non mi credere, Augusto, allor t'inganno.
O cari accenti!
                             Ove son io! Che ascolto!
Vedi se t'ingannò la tua speranza. (A Valentiniano)
Ah temerario, ah ingrata. Olà custodi (S’alza)
quel traditor. Nel carcere più orrendo
Il tuo furor del mio trionfo è segno.
Chi più di me felice? Io cederei
Attila vinto a paragon di questo.
Ingratissima donna, e quando mai
io da te meritai questa mercede?
la tua figlia mi serba?
                                          Indegna, e dove
imparasti a tradir? Così del padre
la fedeltade imiti? E quando avesti
questi esempi da me?
                                          Lasciami in pace,
padre, non irritarmi; è sciolto il freno,
se m'insulti dirò...
                                   Taci o il tuo sangue...
vendicarmi saprò, giacché m'abborre.
voglio per tormentarla esserle sposo.
Non lo sperar.
                            Ch'io non lo speri! Infida,
non sai quanto potrò...
                                           Potrai svenarmi
ma per farmi temer debole or sei.
Han vinto ogni timor i mali miei.
(Or giova il simular). No, non fia vero
che per vergogna mia viva costei.
voglio passarle il cor.
                                        T'arresta, amico.
S'ella muore, io non vivo; ancor potrebbe
quell'ingrata pentirsi.
                                          Al tuo comando
con pena ubbidirò. Troppo a punirla
Perché simile a te non è la figlia?
Sdegno, amor, gelosia, cure d'impero,
che volete da me? Nemico e amante
e timido e sdegnato a un punto io sono
e intanto non punisco e non perdono.
obbliar quell'ingrata. Ella è cagione
d'ogni sventura mia. Ma di tentarlo
né pure ardisco; e da una forza ignota
che non desio di superar me stesso.
Ezio qui venga. È questa gemma il segno (Alla guardia che parte)
del cesareo volere. Il suo periglio
mi fa più amante e la pietà ch'io sento
tal fomento è all'amor ch'io non so come
di due diversi affetti un solo affetto.
O quell'alma è innocente; o non è vero
che imagine dell'alma è la sembianza. (Si apre uno de’ cancelli, dal quale esce Ezio, restando le due guardie presso al detto cancello)
son, principessa, i doni. Avresti mai (Mostrando le catene)
potuto imaginarlo? In pochi istanti
tutto cangiò per me. Cinto d'allori
del giorno al tramontar tu mi vedesti;
tu mi rivedi all'apparir del giorno.
Ezio, qualunque nasce alle vicende
della sorte è soggetto; il primo esempio
dell'incostanza sua, duce, non sei.
tu potresti emendar; per mia richiesta
Cesare l'ira sua tutta abbandona,
t'ama, ti vuole amico e ti perdona.
E il crederò?
                          Sì; né domanda Augusto
altra emenda da te che il suo riposo.
libero sei. Può domandar di meno?
Non è poca richiesta; ei vuol ch'io stesso
m'accusi per timore; ei vuole a prezzo
generoso apparir; sa la mia fede,
prova rossor nell'oltraggiarmi a torto,
perciò mi vuole o delinquente o morto.
lo sdegno suo giustificar non dei.
E se innocente sei, placide, umili
sian le tue scuse; a lui favella in modo
che non abbia coraggio a condannarti.
ad esser vile io non appresi ancora.
Ma sai che corri a morte?
                                                E ben, si mora.
alfin questo morir; ci toglie almeno
dal commercio de' rei.
                                           Pensar dovresti
che per la patria tua poco vivesti.
dall'opre e non dai giorni. Onoria, i vili
inutili a ciascuno, a sé mal noti,
cui non scaldò di bella gloria il foco,
vivendo lunga età vissero poco.
vivendo pochi dì, vivono assai.
abbila almen di me.
                                       Che dici?
                                                           Io t'amo,
più tacerlo non so; quando mi veggo
a perderti vicina, i torti obblio
alla mia debolezza il fasto mio.
che umiltà mi consigli? In questa guisa
insuperbir mi fai. Potessi almeno,
come i tuoi pregi ammiro, amarti ancora.
Deh consenti ch'io mora; Ezio piagato
per altro stral ti viverebbe ingrato.
mi sprezzi pur, mi sia crudel; ma viva.
abborrisci così perché m'è cara,
che sia degna di te. Coll'armi in pugno
mori vincendo, onde t'invidi il mondo,
non ti compianga.
                                   O in carcere o fra l'armi
ad altri insegnerò come si mora.
Farò invidiarmi in questo stato ancora.
Oh dio, ch'il crederebbe? Al fato estremo
egli lieto s'appressa, io gelo e tremo.
che ottenesti, o germana?
                                                Io nulla ottenni.
Già lo predissi; eh si punisca. Omai
è viltade il riguardo.
                                       E pur non posso
crederlo reo; d'alma innocente è segno
quella sua sicurezza.
                                       Anzi è una prova
del suo delitto. Il traditor si fida
nell'aura popolar. Vuo' che s'uccida.
Meglio ci pensa; Ezio è peggior nemico
forse estinto che vivo.
                                         E che far deggio?
Cerca vie di placarlo; il suo segreto
sveller da lui senza rigor procura.
E qual via non tentai?
                                          La più sicura.
è debole in amor; per questa parte
assalirlo conviene. Ei Fulvia adora.
Offrila all'amor suo, cedila ancora.
a consigliare altrui fuor del periglio.
Signor, nel mio consiglio io ti propongo
un esempio a seguir. Sappi che amante
io sono al par di te né perdo meno.
Fulvia è la fiamma tua, per Ezio io peno.
                  Sì. Nel consigliarti or vedi
se facile son io come tu credi.
Ma troppo ad eseguir duro consiglio
mi proponi, o germana.
                                             Il tuo coraggio,
la tua virtù faccia arrossir la sorte.
Una donna t'insegna ad esser forte.
                Vinci te stesso, i tuoi vassalli
d'Augusto il cor...
                                  Non più, Fulvia m'invia.
Facciasi questo ancor. Se tu sapessi
che sforzo è il mio, quanto il cimento è duro.
Dalla mia pena il tuo dolor misuro.
pur è qualche piacer non esser solo.
Olà Varo si chiami. A questo eccesso (Una comparsa esce e parte)
della clemenza mia se il reo non cede,
più lasciargli non vuo'.
                                           Cesare.
                                                           Ascolta.
di questo loco in su l'oscuro ingresso.
Ezio non è, s'io non gli son di guida
quando uscir lo vedrai, fa' che s'uccida.
qual tumulto destò d'Ezio l'arresto?
già Massimo provede.
                                          È ver, ma temo...
Eh taci, adempi il cenno e fa' che il colpo
                Intesi. (Parte)
                               Il prigionier qui rieda. (Alle guardie de’ cancelli)
Tacete o sdegni miei, l'odio sepolto
resti nel cor, non comparisca in volto.
Signor, tutto sedai; d'Ezio la morte
Roma t'applaude, ogni fedel l'aspetta.
che un incauto son io. Gli esempi altrui
Come? Perché?
                               T'accheta, Ezio già viene.
Chi mai lo consigliò!
                                       Dal carcer mio
d'incamminarmi ad un supplicio ingiusto
ma n'incontro un peggior, rivedo Augusto.
più d'odio non si parli. Io vengo amico,
                    Io so che vuoi, m'è noto il resto.
Onoria ti prevenne, il tutto intesi;
torno alla mia prigion, seco parlai.
quanto offrirti vogl'io.
                                          Lo so, mel disse
che la mia libertà, che il primo affetto,
che l'amistà d'Augusto i doni sono.
Ma non disse il maggior.
                                               Vedi qual dono. (Accennando Fulvia)
                (Che mai sarà? L'alma s'agghiaccia).
Da Fulvia che si vuol?
                                          Che ascolti e taccia.
Ti sorprende l'offerta. Ella è sì grande (Ad Ezio)
che crederla non sai ma temi invano;
la promisi, l'affermo, ecco la mano.
A qual prezzo però mi si concede
d'esserne possessor?
                                        Poco si chiede.
Tu sei reo per amor; chi visse amante
facilmente ti scusa. Altro non bramo
che un ingenuo parlar. Tutto il disegno
svelami, te ne priego, acciò non viva
Cesare più co' suoi timori intorno.
Addio mia vita, alla prigione io torno.
(E il soffro?) (A Fulvia)
                           (Ahimè.)
                                               Senti; e lasciar tu vuoi (Ad Ezio)
ostinato a tacer Fulvia che tanto
Parla. (Né meno il traditor risponde).
(Quanti perigli!)
                                 Ezio, m'ascolti? Intendi
che parlo a te? Son tali i detti miei
che un reo come tu sei debba sprezzarli?
Quando parli così meco non parli.
(Eh si risolva). Olà custodi.
                                                   Ah prima
lo sdegno tuo contro di me si volga. (A Valentiniano)
Né puoi tacere? (A Fulvia) Il prigionier si sciolga. (Si tolgono le catene ad Ezio)
               (Che veggio!)
                                          (O stelle!)
                                                               Alfin conosco
che innocente tu sei. Tanta costanza
nel ricusar la sospirata sposa
no che un reo non avrebbe. Ezio, mi pento
del mio rigore; emenderanno i doni
l'ingiuste offese de' sospetti miei.
Vanne, Fulvia è già tua, libero or sei.
(Felice me!)
                         La prima volta è questa
ch'io mi confondo e con ragion. Chi mai
un monarca rivale a questo segno
generoso sperò! La tua diletta
mi cedi e non rammenti...
                                                 Omai t'affretta.
Roma di rivederti; a lei ti mostra,
dilegua il suo timor; tempo non manca
di affetto e d'amistà.
                                        Del fasto mio
or, Cesare, arrossisco; e a tanto dono...
Ezio, va' pur, conoscerai qual sono.
(Va' pur, te n'avvedrai).
                                              (Perdo ogni speme).
Generoso monarca il ciel ti renda
quella felicità che rendi a noi.
sempre rammenterò. Lascia che intanto
su quella augusta mano un bacio imprima.
che sia compito il dono; ancor non sai
quanto il dono è maggior di tua speranza.
Cesare, che facesti? Ah questa volta
t'ingannò la pietade.
                                       E pur vedrai
che giova la pietà, ch'io non errai.
terminata sarà.
                              Qual pace acquisti
se torna in libertà?
                                     Varo eseguisti?
                      Come! Che dici?
                                                       Al varco (A Valentiniano)
l'attesero i miei fidi, ei venne e prima
che potesse temerne il sen trafitto
si vide, sospirò, cadde fra loro.
(O sorte inaspettata!)
                                         Oh dio! Mi moro. (Si appoggia ad una scena coprendosi il volto)
nascondi ad ogni sguardo, ignota resti
d'Ezio la morte ad ogni suo seguace.
Sarà legge il tuo cenno. (Parte)
                                             E Fulvia tace?
Ora è tempo che parli; e perché mai
generoso monarca or non mi dice?
Ah tiranno! Io vorrei... Sposo infelice! (Come sopra)
Un primo sfogo al suo dolore ingiusto
lascia, o signor.
                              Liete novelle Augusto.
Che reca Onoria? Il volto suo ridente
felicità promette.
                                  Ezio è innocente.
                Emilio parlò. L'empio ministro
nelle mie stanze io ritrovai celato,
già vicino a morir.
                                    (Son disperato).
Nelle tue stanze?
                                 Sì. Da te ferito
la scorsa notte ivi s'ascose. Intesi
dal labbro suo ch'Ezio è innocente; Augusto,
non mentisce chi muore.
                                               E l'alma rea
almen ti palesò?
                                Mi disse: «È quella
che a Cesare è più cara e che da lui
fu oltraggiata in amor».
                                             Ma il nome?
                                                                      Emilio
a dirlo si accingea; tutta sui labbri
l'anima fuggitiva egli raccolse
ma l'estremo sospiro il nome involse.
                        (O periglio!)
                                                  Or di', tiranno, (A Valentiniano)
Se fu giusto il punirlo? Or che mi giova
che tu il pianga innocente? Or chi la vita
empio gli renderà?
                                     Fulvia, che dici?
                      Sì, principessa; ah fuggi
dal barbaro germano; egli è una fiera
e di sangue innocente. Ogniun si guardi,
egli ha vinto i rimorsi, orror non sente
della sua crudeltà, gloria non cura;
pur la tua vita, Onoria, è mal sicura.
Ah inumano! E potesti...
                                              Onoria, oh dio!
Non insultarmi; io lo conosco, errai.
più che d'accuse. Il mio timor consiglia.
Son questi i miei più cari; in qual di loro
cercherò il traditor, s'io non gli offesi?
Chi mai non offendesti? Il tuo pensiero
il passato raccolga e non si scordi
di Massimo la sposa, i folli amori,
l'insidiata onestà.
                                  (Come salvarmi!)
che i benefici miei meno ei rammenti
che un giovanil trasporto?
                                                 E ancor non sai
ma non l'offeso i ricevuti oltraggi?
(Ecco il padre in periglio).
                                                  Ah che purtroppo
tu dici il ver ma che farò?
                                                Consigli
or pretendi da me? Se fosti solo
solo al riparo tuo pensa, o tiranno. (Parte)
troppo ingrato sei tu, se ne sospetti.
Massimo, di scolparti il tempo è questo.
il reo ti crederò.
                               Perché? Qual fallo?
Che ingiustizia è la tua!...
                                                (Padre infelice!)
Giusto è il timor. Disse morendo Emilio
che io l'offesi in amor; tutto conviene
Massimo a te. Se tu innocente sei,
pensa a provarlo; assicurarmi intanto
di te vogl'io.
                         (M'assista il ciel).
                                                           Qual altro
           Barbaro, ascolta; io son la rea.
la morte tua, quella son io che tanto
cara ti fui per mia fatal sventura.
che oltraggiasti in amor, quando ad Onoria
offristi il mio consorte. Ah se nemici
non eran gli astri a' desideri miei,
regnarebbe il mio sposo, il mondo e Roma
da un cor tiranno e da una destra imbelle.
O sognate speranze! O avverse stelle!
(Ingegnosa pietade!)
                                        Io mi confondo.
(Il genitor si salvi e pera il mondo).
Tradimento sì reo pensar potesti?
Eseguirlo? Vantarlo?
                                        Ezio innocente
morì per colpa mia; non vuo' che mora
innocente per Fulvia il padre ancora.
Massimo è fido almeno?
                                              Adesso, Augusto,
colpevole son io; se quell'indegna
tanto obbliar la fedeltà poteo,
nell'error della figlia il padre è reo.
i giorni tuoi col mio morir. Potrebbe
che per la prole in ogni petto eccede,
del padre un dì contaminar la fede.
di me disponga, io m'abbandono a lei.
Son stanco di temer. Se tanto affanno
la vita ha da costar, no, non la curo.
per mancanza di speme io m'assicuro.
Partì una volta. Io per te vivo, o figlia,
io respiro per te. Con quanta forza
celai finor la tenerezza? Ah lascia,
cara difesa mia, che alfin t'abbracci. (Vuole abbracciar Fulvia)
Vanne padre crudel.
                                       Perché mi scacci?
io riconosco in te. Basta ch'io seppi
qual son io per tua colpa e qual tu sei.
al grato genitor questo d'affetto
Vieni... (Come sopra)
                 Ma per pietà lasciami in pace.
Se grato essermi vuoi, stringi quel ferro,
svenami, o genitor. Questa mercede
al padre che salvò chiede una figlia.
Misera dove son! L'aure del Tebro
di Tebe e d'Argo? O dalle greche sponde
della prole di Cadmo e degl'Atridi?
l'ingrata crudeltà m'empie d'orrore.
e lo sposo innocente ho sempre in faccia.
Ed io parlo infelice! Ed io respiro?
D'Attila lo spavento, il duce invitto,
il tuo liberator cadde trafitto.
E chi l'uccise? Ah l'omicida ingiusto
fu l'invidia d'Augusto. Ecco in qual guisa
premia un tiranno. Or che farà di noi
chi tanto merto opprime? Ah vendicate,
Romani, il vostro eroe; la gloria antica
rammentatevi omai; da un giogo indegno
liberate la patria e difendete
l'onor, la vita e le consorti e i figli. (In atto di partire)
Massimo, ferma; e qual desio ribelle,
Varo, t'accheta o al mio pensier t'appiglia.
stringa il ferro e mi siegua, ecco il sentiero (Accennando il Campidoglio)
onde avrà libertà Roma e l'impero. (Parte seguito da tutti verso il Campidoglio)
e poi Roma solleva alla vendetta.
a chi lo meditò sarà funesto;
va' traditor. Ma qual tumulto è questo! (S’ode brevissimo strepito di trombe e timpani e di tutti gl’istromenti dell’orchestra)
soccorri il tuo signor.
                                        Fermate. Io voglio
il tiranno svenar.
                                 Padre, che fai? (Fulvia si frapone)
di Massimo la fede?
                                       Assai finora
finsi con te. Se il mio comando Emilio
mal eseguì, per questa man cadrai.
se me di vita il genitor non priva.
Cesare morirà.
                              Cesare viva.
            Che veggo!
                                   O sorte! (Getta la spada)
                                                    È salvo Augusto?
Vedi chi mi salvò. (Accenna Ezio)
                                    Duce, qual nume
ebbe cura di te? (Ad Ezio)
                                 Di Varo amico
il zelo e la pietà.
                               Come!
                                              Eseguita
finsi di lui la morte. Io t'ingannai
ma in Ezio il tuo liberator serbai.
Provida infedeltà!
                                   Permette il cielo
che credesti infedel. Vivi; io non curo
maggior trionfo; e se ti resta ancora
per me qualche dubbiezza in mente accolta,
eccomi prigioniero un'altra volta.
solamente a te stessa. In questo seno
del pentimento mio ricevi un pegno.
Eccoti la tua sposa. Onoria al nodo
d'Attila si prepari; io so che lieta
la tua man generosa a Fulvia cede.
È poco il sacrificio a tanta fede.
Oh contento!
                          Oh piacer!
                                                Concedi, Augusto,
di Massimo la vita ai nostri prieghi.
A tanto intercessor nulla si nieghi.

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