Metrica: interrogazione
121 settenari (pezzi chiusi) in Antigono B 
   È la beltà del cielo
un raggio che innamora
e deve il fato ancora
rispetto alla beltà.
   Ah se pietà negate
a due vezzosi lumi,
chi avrà coraggio, o numi,
per dimandar pietà. (Parte)
   Tu m'involasti un regno,
hai d'un trionfo il vanto;
ma tu mi cedi intanto
l'impero di quel cor.
   Ci esamini il sembiante,
dica ogni fido amante
chi più d'invidia è degno,
se il vinto o il vincitor. (Parte)
   Meglio rifletti al dono
d'un vincitor regnante;
ricordati l'amante
ma non scordarti il re.
   Chi si ritrova in trono
di rado invan sospira
e dall'amore all'ira
lungo il cammin non è. (Parte)
   È pena troppo barbara
sentirsi, oh dio, morir,
e non poter mai dir:
   V'è nel lagnarsi e piangere,
v'è un'ombra di piacer;
ma struggersi e tacer
   Contro il destin che freme
di sue procelle armato
combatteremo insieme
amato genitor.
   Fuggir le tue ritorte
che giova alla mia fede?
Se non le avessi al piede,
le sentirei nel cor. (Parte)
   Sai qual ardor m'accende,
vedi che a te mi fido;
dal tuo bel cor dipende
la pace del mio cor.
   A me che i voti tuoi
scorsi pietoso al lido
pietà negar non puoi,
se mai provasti amor. (Parte)
   Basta così; ti cedo.
Qual mi vorrai son io;
ma per pietà lo chiedo,
non dimandar perché.
   Tanto sul voler mio
chi ti donò d'impero
non osa il mio pensiero
nemmen cercar fra sé. (Parte)
   Dal sen delle tempeste
d'un astro all'apparir,
mai non si vide uscir
   Di nubi sì funeste
tutto l'orror mancò;
e a vincerlo bastò
   Scherno degli astri e gioco
se a questo segno io sono,
lasciami almen per poco,
lasciami dubitar.
   De' numi ancor nemici
pur è pietoso dono
che apprendan gl'infelici
sì tardi a disperar. (Parte)
   Perché due cori insieme
sempre non leghi, amore,
e quando sciogli un core
l'altro non sciogli ancor?
   A chi non vuoi contento
perché lasciar la speme,
per barbaro alimento
d'un infelice ardor? (Parte)
   Sfogati, o ciel, se ancora
hai fulmini per me,
che oppressa ancor non è
   Sì, reo destin, finora
posso la fronte alzar
e intrepido mirar
   Di' che ricuso il trono;
di' che pietà non voglio,
che in carcere, che in soglio
l'istesso ognor sarò.
   Che della sorte ormai
uso agl'insulti io sono,
che a vincerla imparai
quando mi lusingò. (Entra Antigono nella prigione che subito vien chiusa da’ custodi)
   Guerrier che i colpi affretta
trascura il suo riparo;
e spesso al nudo acciaro
offre scoperto il sen.
   Guerrier che l'arte intende
dell'ira che l'accende
raro i consigli accetta
o gli sospende almen. (Parte)
   Già che morir degg'io,
l'onda fatal, ben mio,
lascia ch'io varchi almeno
   Senza rimorsi allor
sarà quest'alma ognor,
idolo del mio seno,
   Voglio anch'io...
                                  Me infelice!
   Perché, se tanti siete
che delirar mi fate,
perché non m'uccidete
affanni del mio cor?
   Crescete, oh dio, crescete,
fin che mi porga aita
con togliermi di vita
l'eccesso del dolor. (Parte)
   Piovano gli astri amici
gl'influssi lor felici
sui voti che si spargono
in questo dì per te.
   Voti che con l'affetto
misurano il rispetto
che in dolce error confondono
sempre col padre il re.

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