Metrica: interrogazione
125 settenari (pezzi chiusi) in La clemenza di Tito Q 
   Deh, se piacer mi vuoi,
lascia i sospetti tuoi;
non mi stancar con questo
   Chi ciecamente crede
impegna a serbar fede;
chi sempre inganni aspetta
alletta ad ingannar. (Parte)
   Serbate, o dei custodi
in Tito il giusto, il forte,
l'onor di nostra età.
   Voi gl'immortali allori
su la cesarea chioma,
voi custodite a Roma
   Fu vostro un sì gran dono,
sia lungo il dono vostro;
l'invidi al mondo nostro
il mondo che verrà. (Nel fine del coro sudetto giunge Tito nell’atrio, nel tempo medesimo Annio e Sesto da diverse parti)
   Serbate, o dei custodi
in Tito il giusto, il forte,
l'onor di nostra età.
   Del più sublime soglio
l'unico frutto è questo;
tutto è tormento il resto
e tutto è servitù.
   Che avrei, se ancor perdessi
ch'ho nel giovar gli oppressi,
nel sollevar gli amici,
nel dispensar tesori
al merto e a la virtù? (Parte)
   Non ti lagnar s'io parto;
che accorda a quei del core
i moti del mio piè.
   Alfin non è portento
che a te mi tolga ancora
l'eccesso d'un contento
che mi rapisce a me. (Parte)
   Parto; ma tu, ben mio,
meco ritorna in pace;
sarò qual più ti piace,
quel che vorrai farò.
   Guardami e tutto obblio
e a vendicarti io volo;
di quello sguardo solo
io mi ricorderò. (Parte)
   Quando sarà quel dì
ch'io non ti senta in sen
sempre tremar così,
   Stelle, che crudeltà!
Un sol piacer non v'è
che quando mio si fa
   Almen se non poss'io
seguir l'amato bene,
   Già sempre a lui vicino
raccolti amor vi tiene;
questo per voi non è. (Parte)
   Come potesti oh dio!
Ah che la rea son io;
sento gelarmi il cor,
   Pria di tradir la fé
perché crudel perché...
Ah che del fallo mio
   Fra stupido e pensoso
dubbio così s'aggira
da un torbido riposo
chi si destò talor.
   Che desto ancor delira
fra le sognate forme,
che non sa ben se dorme,
non sa se veglia ancor. (Parte)
   Ch'io parto reo lo vedi;
ch'io son fedel lo sai;
di te non mi scordai,
non ti scordar di me.
   Soffro le mie catene;
ma questa macchia in fronte,
ma l'odio del mio bene
soffribile non è. (Parte)
   Tremo fra' dubbi miei;
pavento i rai del giorno;
l'aure che ascolto intorno
   Nascondermi vorrei;
vorrei scoprir l'errore;
né di celarmi ho core
né core ho di parlar. (Parte)
   Pietà, signor, di lui.
So che il rigore è giusto;
ma norma i falli altrui
non son del tuo rigor.
   Se a' prieghi miei non vuoi,
se all'error suo non puoi,
donalo al cor d'Augusto,
donalo a te, signor. (Parte)
   Vo disperato a morte;
né perdo già costanza
   Funesta la mia sorte
ch'io ti potei tradir. (Parte con le guardie)
   Getta il nocchier talora
pur que' tesori all'onde
   E giunto al lido amico
gli dei ringrazia ancora
ma salvo ritornò. (Parte)
   Sempre l'istesso aspetto
   E ogni virtù più bella
se in te, signor, s'aduna,

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