tu non apri il tuo cor; da più profonde
quel che sai de' miei casi? Al letto, al trono
del padre tuo vengo d'Egitto; appena
questa reggia m'accoglie, ecco geloso
per me del figlio il genitore; a mille
sospetti esposta io senza colpa e senza
delitto il prence ecco in esiglio. E questo
de' miei mali è il minor. Sente Alessandro
Antigono m'ottiene; e amante, offeso,
giovane e re l'armi d'Epiro aduna;
la Macedonia inonda e al gran rivale
vien regno e sposa a contrastar. S'affretta
Antigono al riparo e m'abbandona
sul compir gl'imenei. Sola io rimango
in terreno stranier; tremando aspetto
d'Antigono il destin; penso che privo
ne' cimenti è per me; mi veggo intorno
di domestiche fiamme e pellegrine
questa reggia avvampar; so che di tanti
incendi io son la sventurata face;
altre cagioni al mio dolor?
questi sensi di te. Ma il duol, che nasce
sol di ragion, mai non eccede; e sempre
il tranquillo carattere conserva
dell'origine sua. Quelle, onde un'alma
son tempeste del cor, non della mente.
Come? D'affetti alla ragion nemici
se temo in te ciò che in me provo. Anch'io
nemico al padre, infido a me; vorrei,
Come Alessandro il mio, Demetrio forse
parlar di lui. Dalla pietà che n'hai,
ti vide, t'ammirò, ma più che altronde
d'un eroe così grande il sol difetto.
Ma è vero ancor che l'amor suo, la speme
era Demetrio; e che or lo scacci a caso
credibile non è. Chi sa. Prudente
di rado è amor; qualche furtivo sguardo,
qualche incauto sospir, qualche improvviso
mal celato rossor forse ha traditi
del vostro cor gli arcani.
non farmi, Ismene. Io destinata al padre
onde sedur l'altrui virtù. Finora
in sì giovane età mai non si vide
merito egual; da più gentil sembiante
finor non trasparì; qualunque il vuoi
ammirabile ognor, principe, amico,
le sue lodi or non son. De' pregi io voglio
sol del mio sposo ora occuparmi. A lui
e miei sudditi son gli affetti miei.
Io di Demetrio amante! Ah voi sapete,
numi del ciel che mi vedete il core,
s'io gli parlai, s'ei mi parlò d'amore.
ognun con me; le sue sventure io piansi;
ma chi mai non le pianse? È troppo, è vero,
la pietà che ho di lui; ma chi prescrive
limiti alla pietà? Chi può... Che miro!
Demetrio istesso? Ah perché viene! Ed io
perché avvampo così! Principe, e ad onta
del paterno divieto in queste soglie
Ah Berenice, ah vieni, (Con affanno)
fuggi, siegui i miei passi.
è vinto il genitor; son le sue schiere
trucidate o disperse. Andiam; s'appressa
a queste mura il vincitor.
nuova di lui. Ma se non vive il padre,
tremi Alessandro; il sangue suo ragione
mi renderà... Deh non tardiam.
cura di te. D'un'infelice a' numi
per la mia gloria è il venir teco. Avrebbe
l'invidia allor per lacerarne alcuna
apparente ragion. Già il tuo ritorno
ne somministra assai. Parti; rispetta
del padre il cenno e l'onor mio.
vendicarlo e morir. Soffri ch'io possa
condurti in salvo e non verrò, lo giuro,
mai più sugli occhi tuoi.
ma per serbarlo in vita. Ei non vivrebbe
se ti perdesse. Ah tu non sai qual sorte
d'amore inspiri. Ha de' suoi doni il cielo
troppo unito in te sola. Ov'è chi possa
perderti, Berenice, e non morire?
queste premure tue. (Con severità)
Son premure di figlio e non d'amante.
comparir d'improvviso; ah qual saria,
il suo sdegno, il tuo rischio, il mio rossore!
tanto non sono; ho Berenice ancora,
il miglior mi restò. Sposa... Ah che miro,
qui Demetrio e con te? Dunque il mio cenno
Signor... Non venne... (Confusa)
nulla dicendo. E tu spergiuro...
spiegarti a tuo talento. I miei gelosi
perché non mi rinfacci? Ingrata! Un regno
perder per te non curo; è gran compenso
d'ogni perdita mia; ma un figlio, oh dei,
ma un caro figlio, onde superbo e lieto
ero a ragion, perché sedurmi e farne
un contumace, un disleal? Sì dolce
spettacolo è per te dunque, crudele,
il vedermi ondeggiar fra i vari affetti
signor, l'alma agitata. Io la mia destra
a te promisi e a seguitarti all'ara
son pronta ove ti piaccia. Il figlio è degno,
se mai lo fu, dell'amor tuo. Non venne
che a salvarmi per te; né dove io sono
Uccidimi se vuoi (Affannato)
ma salvati signor. Nel porto è giunto
trionfando Alessandro; e mille ha seco
legni seguaci. I tuoi fedeli ha volto
tutti in fuga il timor. Più difensori
non ha la reggia o la città; se tardi,
preda sarai del vincitor. Perdona
se violai la legge; era il salvarti
troppo sacro dover; ma sfortunato
che mi costa un delitto il dover mio. (Torna a partire)
d'un misero il destin, da queste soglie
trarti poss'io per via sicura.
fra' disastri beato. Andiam... Ma Ismene
lascio qui fra' nemici? Ah no; si cerchi... (Dubbioso)
Ma può l'indugio... Io con la figlia, amici, (Risoluto)
vi seguirò; voi cauti al mar frattanto (Alle guardie)
Berenice guidate. Avversi dei
placatevi un momento, almen per lei.
che sarà di Demetrio? Esule, afflitto,
chi sa dove lo guida... Aimè! Non posso
dunque pensar che a lui? Dunque fra' labbri
sempre quel nome ho da trovarmi! Oh dio
che affetto è mai, se non è amore il mio?
cede, o mio re. Solo il tuo nome ha vinto;
Tessalonica è tua. Mentre venisti
tu soggiogando il mar, trascorsi invano
io le campagne intorno. Alcun non osa
mirar da presso i tuoi vessilli; e sono
sgombre le vie di Macedonia al trono.
il trionfo saria, se non scemasse
tanta parte di merto al mio sudore!
fu da me nella fuga. I tuoi guerrieri
or la guidano a te. Di pochi istanti
io prevenni i suoi passi.
paghi i miei voti, a lei corriam.
dagl'insulti, o guerrieri, e si rispetti
dimenticai vincendo; hanno i miei sdegni
spoglia del vincitor. Ma Berenice,
oh dei! vien prigioniera. A questo colpo
fra' tuoi lacci, Alessandro, e ancor nol credo.
a' danni di chi s'ama armar feroce
è nuovo stil di conquistare affetti.
(Mille furie ho nel cor).
principessa adorata, e dimmi poi
qual più ti sembri il prigionier di noi.
t'offro la destra, o mio bel nume, e voglio
che mia sposa t'adori e sua regina
Macedonia ed Epiro. Andiam. Mi sembra
lungo ogn'istante. Ho sospirato assai.
Ah tempo è di morir. (Vuole uccidersi)
Padre che fai! (Trattenendolo)
E vuoi la morte (Gli vien tolta la spada)
Antigono, arrossisco. In faccia all'ire
chi nacque al trono esser dovria più forte.
è viltà conservarsi e non costanza.
l'opporsi è van; son le vicende umane
da' fati avvolte in tenebroso velo;
e i lacci d'imeneo formansi in cielo.
Andiam Berenice; e innanzi all'ara
la destra tua pegno d'amor...
se lo speri, Alessandro. Io fé promisi
Che avvenne, Alessandro? Onde le ciglia
sì stupide e confuse? Onde le gote
Chi nacque al trono esser dovria più forte.
qui che agl'insulti ed a' rifiuti.
gli umani eventi un tenebroso velo;
e i lacci d'imeneo formansi in cielo.
a rendermi infelice io sfido il fato.
Olà, d'Ismene (Alle guardie)
sembra accusa ad un cor che reo si sente!)
Berenice si scorga. E tu più saggia...
spazio a pentirti. I subiti consigli
pensa meglio al tuo caso e poi decidi.
lungi è Demetrio e palpitar per lui,
per pietà chi sa dirmi?... Ah principessa,
è pur Clearco. Oh quale incontro, oh quale
aita il ciel m'invia! Diletto amico,
macedone alle vesti; ed io non sono
pria vuo' rapirti... (Snuda la spada)
son l'ire tue. Cedi al destin; quel brando
lascia e serbati in vita. Io tel comando.
Prendilo, disleal. (Gli dà la spada)
guerrier, con lui; quell'eccessivo scusa
mi preceda ciascuno. I vostri passi
raggiungerò. (Alle guardie)
quel prigionier; trascorse, è ver, parlando
oltre il dover; ma le miserie estreme
turbano la ragion. Se dir potessi
so che farei pietade anche a' nemici.
Or chi dirmi oserà che si ritrovi
Siam soli alfin. Ripiglia
l'invitto acciaro; e ch'io ti stringa al petto
Finora io finsi. Allontanar convenne
tutti quindi i custodi. In altra guisa
io mi perdea senza salvarti.
a torto io t'oltraggiai. Dunque...
troppo grande è per te. Fuggi, ti serba
a fortuna miglior, principe amato;
e pensa un'altra volta a dirmi ingrato. (In atto di partire)
Il padre è prigionier. Salvati. Addio. (Parte)
fra' ceppi un padre! Ah non fia ver. Se amassi
mi renderei di conservarla indegno.
tranquillo io soffrirò? No; qual rispetto
nel vincitor dessi al favor de' numi
vuo' che Antigono impari.
uom d'alto affar; tace il suo nome e vuole
Udiste? (Alle guardie che ricevuto l’ordine partono)
Lo stranier s'introduca. E tu perdona
signor se a troppo il zelo mio s'avanza;
che da' teneri assalti il cor difende,
de' misteri d'amor poco s'intende.
parlar superbo e l'oltraggioso riso
mi sta sul cor; se non punissi...
eroe d'Epiro, il volontario omaggio
Che? D'Antigono il figlio?
a me nemico e vincitor dinanzi
e fidandomi a un re, poco avventuro.
(Che bell'ardir!) Ma che pretendi?
né senza prezzo. Alle catene io vengo
ad offrirmi per lui. Brami un ostaggio?
una vittima vuoi? Vittima io sono.
Antigono, lo so; ma qualche peso
al compenso inegual l'acerbo aggiunga
la pietà d'Alessandro, il mio dolore.
(Oh dolor che innamora!) È falso dunque
egli ha ragione. Io se l'offesi, il giuro
a tutti i numi, involontario errai.
Fu destin la mia colpa; e volli e voglio
pria morir ch'esser reo. Ma quando a torto
m'odiasse ancor, non prenderei consiglio
Non rispondi, Alessandro? Il veggo; hai sdegno
dell'ardita richiesta. Ah no; rammenta
che un figlio io son, che questo nome è scusa
ad ogni ardir, che la natura, il cielo,
la fé, l'onor, la tenerezza, il sangue,
tutto d'un padre alla difesa invita;
e tutto dessi a chi ci diè la vita.
anima grande, e ti consola. Avrai
libero il padre. A tuo riguardo amico
ti rendano gli dei. L'offerto acciaro
ecco al tuo piè. (Vuol deporre la spada)
Che fai? Prence, io non vendo
i doni miei. La tua virtù gli esige,
non gli compra da me. Quanto gli tolsi
tutto Antigono avrà; non mi riserbo
de' miei trofei che Berenice.
tuo cor bramo doverla. Ove tu voglia,
qual forza hanno i tuoi detti io so per prova.
Misero me, che ottenni! Ah Berenice,
tu d'Alessandro e per mia mano! Ed io
esser quello dovrei... No, non mi sento
tanto valor; morrei di pena; è impiego
troppo crudel... Che? Puoi salvare un padre,
figlio ingrato, e vacilli? Il dubbio ascondi;
non sappia alcun vivente i tuoi rossori;
se dovessi morir, salvalo e mori.
Ardir; l'indugio è colpa. Andiam... Ma viene
la principessa appunto. Ecco il momento
Assistetemi, o numi; il cor mi trema.
Qui Demetrio! S'eviti. È troppo rischio
l'incontro suo. (Vuol ritirarsi)
Deh non fuggirmi! Un breve
tu i giuramenti osservi? Ogni momento
mi torni innanzi? (Severa)
Il mio destino... (Appassionato)
non voglio udir. (Come sopra)
Che pretendi da me? (Impaziente)
non meritò mai di Demetrio il core.
(Ah non sa che mi costa il mio rigore!)
l'ultima volta; e misurati e brevi
giusti numi, è la mia!) De' pregi tuoi,
(Aimè spiegarsi (Confusa)
Ognun che giunga i lumi (Tenero)
Prence, osserva la legge o non t'ascolto.
L'osserverò. (Costanza). Il re d'Epiro (Si ricompone)
arde per te; gli affetti tuoi richiede;
Per chi gl'implori? (Sorpresa)
un opportuno intercessor. Gran dritto
invero hai tu di consigliarmi affetti.
Necessario non è; troppo ascoltai. (Vuol partire)
e regno e libertà rende Alessandro,
s'io gli ottengo il tuo amor. Della mia pena
deh non rapirmi il frutto; è la più grande
che si possa provar. (Con espressione)
Parmi che tanto (Con ironia)
codesta pena tua crudel non sia.
Ah tu il cor non mi vedi, anima mia.
Prence vaneggi! A quale eccesso... (Sdegnosa)
A chi deve morir tutto è permesso.
Sappi ch'io t'amo e t'amo quanto
degna d'amor tu sei, che un sacro, oh dio!
dover m'astringe a favorir gli affetti
or di' qual pena è alla mia pena uguale.
Ma Demetrio! (Ove son?) Credei... Dovresti...
(Sdegni miei dove siete? Io non vi trovo).
Pietà, mia bella fiamma. Il caso mio
n'è degno assai. Lieto morrò, s'io deggio
a una man così cara il genitore.
Basta. (E amar non degg'io sì amabil core!)
fossi per me, s'io nel tuo petto avessi
destar saputo una scintilla, a tante
Dunque tu credi... Ah prence... (Tenera)
Nol so. So ch'io non posso
voler che il tuo volere. (Amorosa)
Ah nel tuo volto (Con trasporto)
veggo un lampo d'amor, bella mia face.
Crudel, che vuoi da me? Lasciami in pace.
arde per me! Quanto mi disse o tacque
tutto è prova d'amor. Ma in quale istante,
numi, io lo so! Qual sacrificio, o padre,
costi al mio cor! Perdonami se alcuna
lagrima ad onta mia m'esce dal ciglio;
benché pianga l'amante, è fido il figlio.
partir da te. Che ne ottenesti?
(oh dio!) tutto, o signor. Tua sposa (io moro)
ella sarà. Le tue promesse adempi;
caro amico e fedel... Ma quale affanno
può turbarti così? Piangi o m'inganno?
più di me possa dirsi. Ecco il più caro
Oh quanto, ancor che infido, (Con ironia)
compatisco Alessandro! Essere amante,
vedersi disprezzar son troppo invero,
Tanto per me non tormentarti, Ismene.
alfin pensar dovea che tu famosa
la sua beltà rendesti. Uguali andranno
ai dì remoti, e tu cagion ne sei,
Tessalonica a Troia, Elena a lei.
(Oh dei!) D'un cangiamento
tanto improvviso io la ragion non vedo.
Della pietà d'Ismene opra lo credo.
d'infido e di crudel poni in oblio,
principessa, una volta. I nostri affetti
scelta non fur ma legge. Ignoti amanti
ci destinaro i genitori a un nodo
che l'anime non strinse. Essermi Ismene
grata d'un'incostanza alfin dovria,
onde il frutto è comun, la colpa è mia.
senza intenderlo allor. Credea che sempre
amico re, son pur finiti; il cielo
A lui dunque usurpar non voglio
il tenero piacer. Parlagli e poi
vedrai che fausto dì questo è per noi.
già d'Alessandro amante. A lui la mano
consorte oggi darà; questo è l'arcano.
che a me giurò? Di sì gran torto il figlio
mi sarà messaggier? Mi chiama amico
per ischerno Alessandro? A questo segno
che fui re si scordò? No. Comprendesti
male i suoi detti. Altro sarà.
padre, egli è ver. Troppo l'infido io vidi
Taci. E qual gioia hai di vedermi afflitto?
quel freddo cor non sa, perché imitando
non imparo a sprezzar chi mi disprezza?
per mia sventura? Il più crudel nemico
dunque ho nutrito in te? Bella mercede
di tante mie paterne cure e tanti
palpiti che mi costi. Io non pensai
che di me stesso a render te maggiore;
non pensi tu che a lacerarmi il core.
Che credesti? Ad Alessandro
con quale autorità gli affetti altrui
ardisti offrir? Chi t'insegnò la fede
voglio solo il pensiero. A te non lice
signor, cura non prendi, abbila almeno
di tanti tuoi fidi vassalli. Un padre
lor conserva ed un re. Se tanto bene
non vuol congiunto il ciel, renda felice
tu Macedonia. È gran compenso a questa
del ben che perderà quel che le resta.
degno del tuo gran cor! (Vuol partire)
Degno d'un figlio (Seguitandolo)
Antigono, il tuo fato. Oh fausto evento! (Con affanno d’allegrezza)
son debitor. Ma d'una fé disponi
che a me legasti, io non disciolsi.
Non ci arrestiam. Per quel camino ignoto
che quindi al mar conduce, alle tue schiere
sollecito ti rendi ed Alessandro
Che dici! Ai muri intorno
Agenore il tuo duce intera palma
ne riportò. Dal messaggier, che ascoso
non lungi attende, il resto udrai. T'affretta,
che assalir la città non ponno i tuoi,
dall'altrui fedeltà, dal negligente
fasto de' vincitori; ei del conflitto
unì gl'avanzi inosservato e venne
il primo fallo ad emendar.
tanto inegual, no, non potea...
il colpo assicurò. Fiamme improvvise
ei sparger fe' da fida mano ignota
fra le navi d'Epiro. In un momento
di legno in legno; e le terrestri schiere
già correano al soccorso. Allor feroci
entran nel campo i tuoi; quegli non sanno
chi gli assalisca; e fra due rischi oppressi
senza evitarne alcuno. All'armi invano
gridano i duci; il bellicoso invito
atterrisce o non s'ode. Altri lo scampo
non cerca, altri nol trova. Il suon funesto
del ripercosso acciar, gli orridi carmi
di mille trombe, le minaccie, i gridi
di chi ferisce o muor, le fiamme, il sangue,
la polve, il fumo e lo spavento abbatte
i più forti così che un campo intero
di vincitor vinto si trova e tutto
sui trofei che usurpò cade distrutto.
la vittoria a compir. (Volendo partire)
Fermati; altrove (Ad Antigono)
meco, signor, venir tu dei.
Ma che si brama? (A Clearco)
grande qual or tu sei vuol custodito
gelosamente il re. Sieguimi. Al cenno
il caso d'Alessandro e la mia fede.
Che fiero colpo è questo!
Sognai d'esser felice e già son desto.
Io vuo' salvarlo o voglio
morirgli accanto. E morirò felice
a chi deve morir questo conforto.
No, crudel tu non sei; procuri invano
finger rigor; ti trasparisce in volto
co' suoi teneri moti il cor sincero.
E tu dici d'amarmi? Ah non è vero.
la mia virtù; non ti parria trionfo
la debolezza mia; verresti meno
a farmi guerra; estingueresti un foco
può farci rei; non cercheresti, ingrato,
saper per te fra quali angustie io sono.
Berenice, ah non più; son reo; perdono.
Eccomi qual mi vuoi. Conosco il fallo;
l'emenderò; da così bella scorta
il camin di virtù facile io credo.
Non lo speri Alessandro; il patto indegno
abborrisco, ricuso. Io Berenice
Più del mio rischio il cenno mio rispetti.
Padre, ah che dici mai! Sarebbe il segno
del tuo morir quel dell'assalto. Io farmi
veleno ho meco; e di mia sorte io sono
arbitro ognor. Sospenderò per poco
l'ora fatal; ma se congiura il vostro
tardo ubbidir col mio destin tiranno,
io so come i miei pari escon d'affanno.
Ma che a lui dir degg'io?
quel prigionier. Se del voler sovrano
questa gemma real non vi assicura,
Chi trasgredisce il cenno è reo di morte. (I custodi osservata la gemma si ritirano)
Clearco, ah non partir. Senti e pietoso
Perdona, udir non posso. Il re m'attende. (Parte)
Agenore all'assalto, è d'Alessandro
vittima il padre; e se ubbidir ricuso,
lo sarà di sé stesso. Onde consiglio
Lode agli dei, (Senza vedere Ismene)
T'accheta, Ismene. In queste spoglie
un de' custodi io son creduto.
far ch'ei si salvi e rimaner per lui.
orrido loco al limitare accanto
la sotterranea via che al mar conduce.
Esca Antigono quindi e in un momento
Antigono è colà. Né quelle porte
Né il più crudele è questo
de' miei terrori. Antigono ricusa
furibondo ogni patto; odia la vita;
dunque potrebbe... Ah s'impedisca. Or tempo
è d'assistermi, o numi. (In atto di snudar la spada e partire)
quelle porte ad aprir. (Come sopra)
se il padre mai... Misero padre! Addio;
soccorrerlo convien. (Risoluto)
Tutto oserò. Son disperato e figlio. (Parte)
quell'impeto esser può. Che! Per l'ingrato
Ah per quanti a tremar nata son io!
Antigono ricusa! Ah mai non speri
Senza quest'aureo cerchio,
ch'io rendo a te, non s'apriran le porte
del carcer suo. (Porgendogli l’anello reale)
o Agenore allontani, o in faccia a lui
cauto in uso porrò. Ma d'eseguirla
mi guardi il ciel. Tu perderesti il pegno
della tua sicurezza. Assai più giova
una lenta prudenza ai gran perigli.
sveller di man, dell'adorato oggetto
i rifiuti ascoltar, d'un prigioniero
soffrir gl'insulti, e non potere all'ira
sciogliere il fren, questa è un'angustia...
Il re... dov'è? (Affannato e torbido)
Che sguardi! Che parlar!) Demetrio! E ardisci...
chi trema per un padre... Ah la dimora
saria fatal; sollecito mi porgi
l'impressa tua gemma real.
a un cieco affetto il temerario eccesso.
Umil mi vuoi? (S’inginocchia)
Eccomi a' piedi tuoi. Rendimi il padre
e il mio nume tu sei. Suppliche o voti
più non offro che a te. Già il primo omaggio
ecco nel pianto mio. Pietà per questa
invitta mano a cui del mondo intero
auguro il fren. Degli avi tuoi reali
signor, pietà. Placa quel cor severo,
Invan lo spero! (In atto feroce)
Ah non l'avrai; rendimi il padre o mori. (S’alza furioso; prende con la sinistra il destro braccio d’Alessandro in guisa ch’ei non possa scuotersi; e con la destra lo disarma)
Taci o t'uccido. (Presentandogli sugli occhi la spada che gli ha tolta)
Tutto, fuorch'io son figlio. Il regio cerchio
Dunque mori. (In atto di ferire)
Ah che fai? Prendilo e parti. (Gli dà l’anello)
Eumene? Eumene? (Correndo verso la porta)
T'affretta, (Ad un macedone che comparisce su la porta del gabinetto)
corri, vola, compisci il gran disegno;
Antigono disciogli; eccoti il segno. (Dà l’anello al macedone che subito parte)
che balena in quel ciglio).
(A sciorre il padre (Inquieto a parte)
di propria man mi sprona il cor; m'affrena
turbi l'opra, se parto. In due vorrei
Ancor ti resta (Alzandosi da sedere)
altro forse a tentar? Perché non togli
quell'orribil sembiante agli occhi miei?
il passo io volgerò. (Vuol partire)
vivi non uscirem, finché sospesa
questo è troppo soffrir). Libero il passo
lasciami, traditore, o ch'io... Ma... Il cielo
Stelle! È Clearco? (Agitato)
non ritengo Alessandro. Ah fosse almeno
il padre in libertà. (S’accosta ad Alessandro)
dalla tua man la real gemma ottenne?
Ecco; e vedi in qual guisa. (Additando Demetrio)
Quel nudo acciar... (In atto di snudar la spada)
Non appressarti o in seno (Prende di nuovo Alessandro e minaccia di ferirlo)
porgergli aita!) O lascia il ferro o il padre
volo fra' ceppi a ritener. (In atto di partire)
vibro il colpo fatale. (Accenna di ferire)
specie mai di furor?) Prence, e non vedi...
Dunque Demetrio è un reo?
ah che dirà chi t'ammirò finora?
Ch'ha il Manlio suo la Macedonia ancora.
Non più, Clearco; il reo punisci. Io dono
già la difesa alla vendetta. Assali,
ferisci, uccidi; ogn'altro sforzo è vano.
siegui i miei passi. Il tuo coraggio ha vinto;
il padre è in libertà. Fra le sue braccia
volo a rendere intero il mio conforto. (Parte)
Grazie, o dei protettori; eccomi in porto. (Lascia Alessandro)
barbara sorte ai giorni miei destini!)
troppo, o signor, l'impeto mio trascorse,
perdono imploro. Inevitabil moto
furon del sangue i miei trasporti. Io stesso
più me non conoscea. Moriva un padre,
altra via da tentar. Sì gran cagione
se non è scusa al violento affetto,
ferisci; ecco il tuo ferro; ecco il mio petto. (Rende la spada ad Alessandro)
Sì; cadi, empio... Che fo? Punisco un figlio
perché al padre è fedel? Trafiggo un seno
che inerme si presenta a' colpi miei?
Ah troppo vil sarei! M'offese, è vero;
mi potrei vendicar; ma una vendetta
mi farebbe arrossir più che l'offesa.
compisci or l'opra. Il genitore è salvo
ma suo rival tu sei. Depor conviene
o la vita o l'amor. La scelta è dura
ma pur... Vien Berenice. Intendo. Oh dei!
Già decide quel volto i dubbi miei.
Oh illustre, oh amabil figlio! Oh prence invitto,
cura de' numi, amor del mondo e mio!
qual trasporto, quai nomi!
chi non amarti, o caro? È salvo il regno,
libero il padre, ogni nemico oppresso,
sol tua mercé. S'io non t'amassi...
da tanto merto è debil freno.
gli uomini, i sassi, ognun t'adora; io sola
perché amar non dovrò? Che legge è questa?
senza il cor che negarla. Io stessa in faccia
al mondo intero affermerò che sei
tu la mia fiamma, e che non è capace
Oh assalto! Oh padre! Oh Berenice! Oh amore!
A morire innocente. Anche un momento
se m'arresti, è già tardi.
quanta basta a morir. Lasciami questa.
Berenice che fai! More il tuo bene,
stupida, e tu non corri... Oh dio! Vacilla
l'incerto passo; un gelido mi scuote
insolito tremor tutte le vene; (S’appoggia)
e a gran pena il suo peso il piè sostiene.
folla d'idee tutte funeste adombra
la mia ragion! Veggo Demetrio; il veggo
che in atto di ferir... Fermati; vivi;
d'Antigono io sarò. Del core ad onta
volo a giurargli fé. Dirò che l'amo;
dirò... Misera me! S'oscura il giorno!
Balena il ciel! L'hanno irritato i miei
meditati spergiuri. Aimè! Lasciate
ch'io soccorra il mio ben, barbari dei;
Ah sarete contenti; eccolo ucciso.
Aspetta, anima bella; ombre compagne
a Lete andrem. Se non potei salvarti,
potrò fedel... Ma tu mi guardi e parti!
dal torrente crudel de' miei martiri! (Piange)
Misera Berenice, ah tu deliri.
Ma Demetrio dov'è? Perché s'invola
agli amplessi paterni? Olà, correte;
il caro mio liberator si cerchi,
si guidi a me. (Partono alcuni macedoni)
per poterle disciorre. Ad Alessandro
rendasi il ferro. (Gli vien resa la spada)
E in quante guise e quante
trionfate di me! Per tante offese
tu libertà mi rendi; a mille acciari
espone il sen l'abbandonata Ismene,
Son pochi istanti. Io non vivrei,
s'ella non era. Ah se non sdegna un core
signor... salva il tuo figlio.
Perché viver non sa che a te rivale,
corre a morir. M'ama. L'adoro. Ormai
la tragedia impedir. Volate...
padre, già la pietà. Già più non vive
Pallido su l'ingresso or l'incontrai
del giardino reale. «Addio» mi disse
«per sempre, Ismene. Un cor dovuto al padre
scellerato io rapii; ma questo acciaro
mi punirà». Così dicendo, il ferro
snudò, fuggì. Dove il giardin s'imbosca
corse a compir l'atroce impresa; ed io
l'ultimo, oh dio, funesto grido intesi;
tanto oppresse il terrore i sensi miei.
Dunque per colpa mia cadde trafitto
quest'aure che respiro! Un figlio in cui
la fé prevalse al mio rigor tiranno?
i posteri di te? Come potrai
l'idea del fallo tuo, gli altri e te stesso,
Antigono, soffrir? Mori; quel figlio
col proprio sangue il tuo dover t'addita. (Vuole uccidersi)
Antigono, che fai? Demetrio è in vita.
contro il furor de' tuoi, dov'è più nero
e folto il bosco io m'era ascoso. Il prence
v'entrò; ma in quell'orror, di me più nuovo,
visto non vide; onde serbarlo in vita
la mia poté non preveduta aita.
Ah figlio! (Incontrandolo)
signor, son reo. Posso morir, non posso
lasciar d'amarla. Ah se non è delitto
la mia colpa è la vita e non l'amore.
Amala, è tua. Picciolo premio a tante
che costasse al tuo core...
vera felicità de' giorni miei.
Una tigre sarei, se non cedesse
all'amor d'un tal figlio ogn'altro affetto.
Se dolce premio alla virtù d'un padre,
è de' figli l'amore, oh come, oh quanto
più d'Antigono il sai! Non son ristretti
fra i confini del sangue; hanno i tuoi regni
tutti il lor padre in te; per te ciascuno
ha di Demetrio il cor; la fede altrui
e la clemenza tua sono a vicenda
e cagione ed effetto. Un figlio solo
Antigono vantò ne' suoi perigli;
quanti i sudditi tuoi sono i tuoi figli.