Metrica: interrogazione
956 endecasillabi (recitativo) in Olimpiade Q 
più consiglio non vuo'.
                                           Licida ascolta.
spirito intollerante.
                                     E in chi poss'io
fuor che in me più sperar? Megacle istesso,
nel bisogno maggiore! Or va', riposa
su la fé d'un amico.
                                     Ancor non dei
condannarlo però. Breve camino
da Creta ov'ei restò. L'ali alle piante
non ha Megacle alfin. Forse il tuo servo
subito nol rinvenne. Il mar frapposto
forse ritarda il suo venir. T'accheta;
in tempo giungerà. Prescritta è l'ora
oltre il meriggio ed or non è l'aurora.
all'olimpica palma or sul mattino
dee presentarsi al tempio. Il grado, il nome,
la patria palesar. Di Giove all'ara
di frode nel cimento.
                                        Il so.
                                                    T'è noto
giunge tardi a compir? Vedi la schiera
de' concorrenti atleti? Odi il festivo
tumulto pastoral? Dunque, che deggio
attender più? Che più sperar?
                                                         Ma quale
sarebbe il tuo disegno?
                                            All'ara innanzi
presentarmi con gli altri.
                                               E poi?
                                                              Con gli altri
a suo tempo pugnar.
                                       Tu!
                                                Sì. Non credi
in me valor che basti?
                                          Eh qui non giova,
prence, il saper come si tratti il brando.
Altra spezie di guerra, altr'armi ed altri
studi son questi. Ignoti nomi a noi
cesto, disco, palestra, a' tuoi rivali
familiari esercizi. Al primo incontro
ti potresti pentir.
                                  Se fosse a tempo
Megacle giunto a tai contese esperto,
pugnato avria per me; ma s'ei non viene,
che far degg'io? Non si contrasta, Aminta,
oggi in Olimpia del selvaggio olivo
la solita corona; al vincitore
sarà premio Aristea, figlia reale
dell'invitto Clistene, onor primiero
delle greche sembianze, unica e bella
fiamma di questo cor, benché novella.
più riveder non spero. Amor non vive,
quando muor la speranza.
                                                 E pur giurasti
tante volte...
                         T'intendo. In queste fole
trattener mi vorresti. Addio.
                                                     Ma senti.
            Megacle.
                               Dov'è?
                                               Fra quelle piante
parmi... No... non è desso.
                                                 Ah mi deridi
e lo merito, Aminta. Io fui sì cieco
che in Megacle sperai. (Volendo partire)
                                           Megacle è teco.
Vieni, vieni al mio seno. Ecco risorta
la mia speme cadente.
                                           E sarà vero
la via d'esserti grato?
                                         E pace e vita
tu puoi darmi, se vuoi.
                                           Come?
                                                           Pugnando
per me, col nome mio.
                                           Ma tu non sei
noto in Elide ancor?
                                       No.
                                                 Quale oggetto
ha questa trama?
                                  Il mio riposo. Oh dio!
Non perdiamo i momenti. Appunto è l'ora
si raccolgono i nomi. Ah vola al tempio;
di' che Licida sei. La tua venuta
inutile sarà, se più soggiorni.
Vanne. Tutto saprai, quando ritorni.
Oh Megacle fedel!
                                   Così di lui
non parlavi poc'anzi.
                                        Eccomi alfine
possessor d'Aristea. Vanne, disponi
tutto, mio caro Aminta. Io con la sposa
voglio quindi partir.
                                       Più lento, o prence,
nel fingerti felice. Ancor vi resta
molto di che temer. Potria l'inganno
esser scoperto; al paragon potrebbe
Megacle soggiacer. So ch'altre volte
fu vincitor; ma un impensato evento
so che talor confonde il vile e 'l forte;
né sempre ha la virtù l'istessa sorte.
perpetuo dubitar! Vicino al porto
vuoi ch'io tema il naufragio! A' dubbi tuoi
non sa mai quando è l'alba o quando è sera.
torni a render felice, o principessa?
potessi ancor, come dagli altri. Amica,
giorno per me sia questo.
                                                È questo un giorno
glorioso per te. Di tua bellezza
prova aver più sicura; a conquistarti
tutto il fior della Grecia oggi s'espone.
Ma chi bramo non v'è. Deh si proponga
al nostro ragionar. Siedi Licori.
riprendi e parla. Incominciasti un giorno
a narrarmi i tuoi casi. Il tempo è questo
di proseguirgli. Il mio dolor seduci;
i miei tormenti in rammentando i tuoi.
Se avran tanta virtù, senza mercede
non va la mia costanza. A te già dissi (Siede)
che Argene è il nome mio, che in Creta io nacqui
d'illustre sangue, e che gli affetti miei
fur più nobili ancor de' miei natali.
ecco il principio. Del cretense soglio
fu la mia fiamma ed io la sua. Celammo
prudenti un tempo il nostro amor; ma poi
l'amor s'accrebbe e, come in tutti avviene,
la prudenza scemò. Comprese alcuno
il favellar de' nostri sguardi; ad altri
i sensi ne spiegò; di voce in voce
il maligno romor che 'l re l'intese.
Se ne sdegnò; sgridonne il figlio; a lui
vietò di più vedermi; e col divieto
glien'accrebbe il desio. Che aggiunge il vento
fiamme alle fiamme; e più superbo un fiume
fanno gli argini opposti. Ebro d'amore
di rapirmi e fuggir. Tutto il disegno
spiega in un foglio; a me l'invia. Tradisce
la fede il messo e al re lo reca. È chiuso
il mio povero amante. A me s'impone
porga la destra. Io lo ricuso. Ognuno
contro me si dichiara. Il re minaccia;
mi condannan gli amici. Il padre mio
vuol che al nodo acconsenta. Altro riparo
al mio caso non trovo. Il men funesto
credo il più saggio; e l'eseguisco. Ignota
in Elide pervenni. In queste selve
mi proposi abitar. Qui fra' pastori
pastorella mi finsi e son Licori.
fido in sen di Licori il cor d'Argene.
Inver mi fai pietà. Ma la tua fuga
non approvo però. Donzella e sola
abbandonar...
                            Dunque dovea la mano
a Megacle donar?
                                  Megacle? (Oh nome!)
Di qual Megacle parli?
                                           Era lo sposo
questi che 'l re mi destinò. Dovea
dunque obliar...
                               Ne sai la patria?
                                                               Atene.
Come in Creta pervenne?
                                                 Amor vel trasse,
com'ei stesso dicea, ramingo, afflitto.
da stuol di masnadieri; e oppresso ormai
la vita vi perdea. Licida a sorte
vi si avvenne e 'l salvò. Quindi fra loro
fidi amici fur sempre. Amico al figlio,
fu noto al padre; e dal reale impero
destinato mi fu, perché straniero.
le sue sembianze?
                                   Io l'ho presente. Avea
bionde le chiome, oscuro il ciglio, i labbri
vermigli sì ma tumidetti, e forse
lenti e pietosi, un arrossir frequente,
un soave parlar... Ma... principessa
tu cambi di color! Che avvenne?
                                                            Oh dio!
Quel Megacle che pingi è l'idol mio.
lunga stagion già mio segreto amante,
niegommi il padre mio; né volle mai
ascoltarlo una volta. Ei disperato
da me partì; più nol rividi; e in questo
punto da te so de' suoi casi il resto.
favolosi accidenti.
                                   Ah s'ei sapesse
ch'oggi per me qui si combatte!
                                                           In Creta
a lui voli un tuo servo; e tu procura
la pugna differir.
                                 Come?
                                                 Clistene
è pur tuo padre; ei qui presiede eletto
arbitro delle cose; ei può, se vuole...
principessa, il tentarlo?
                                             E ben. Clistene
vadasi a ritrovar. (S’alzano)
                                  Fermati. Ei viene.
Figlia, tutto è compito. I nomi accolti,
le vittime svenate, al gran cimento
l'ora è prescritta; e più la pugna ormai,
della pubblica fé, dell'onor mio,
differir non si può.
                                     (Speranze addio).
io ti darei, se ti dicessi tutti
quei che a pugnar per te vengono a gara.
v'è Clearco di Sparta, Ati di Tebe,
Erilo di Corinto; e fin di Creta
Licida venne.
                           Chi!
                                      Licida, il figlio
del re cretense.
                              Ei pur mi brama?
                                                                 Ei viene
con gli altri a prova.
                                      (Ah si scordò d'Argene!)
Sieguimi, figlia.
                                Ah questa pugna, o padre,
si differisca.
                         Un impossibil chiedi;
dissi perché. Ma la cagion non trovo
di tal richiesta.
                              A divenir soggette
sempre v'è tempo. È d'imeneo per noi
pesante il giogo; e già senz'esso abbiamo
nella nostra servil sorte infelice.
Dice ognuna così; ma il ver non dice.
Udisti, o principessa?
                                          Amica, addio.
Convien ch'io siegua il padre. Ah tu, che puoi,
se pietosa pur sei come sei bella,
cerca, recami, oh dio! qualche novella.
già di me si scordò! Povera Argene
a che mai ti serbar le stelle irate!
inesperte donzelle. Ecco lo stile
de' lusinghieri amanti. Ognun vi chiama
suo ben, sua vita e suo tesoro; ognuno
vaneggia il dì, veglia le notti. Han l'arte
di lagrimar, d'impallidir. Talvolta
voglian morir fra gli amorosi affanni;
guardatevi da lor. Son tutti inganni.
               Amico.
                               Eccomi a te.
                                                        Compisti...
Tutto, o signor. Già col tuo nome al tempio
per te mi presentai. Per te fra poco
vado al cimento. Or fin che 'l noto segno
della pugna si dia, spiegar mi puoi
la cagion della trama.
                                         Oh, se tu vinci,
non ha di me più fortunato amante
tutto il regno d'amor.
                                         Perché?
                                                          Promessa
è una real beltà. La vidi appena
che n'arsi e la bramai. Ma poco esperto
negli atletici studi...
                                      Intendo. Io deggio
conquistarla per te.
                                     Sì. Chiedi poi
la mia vita, il mio sangue, il regno mio;
tutto, o Megacle amato, io t'offro e tutto
scarso premio sarà.
                                     Di tanti, o prence,
al grato servo, al fido amico. Io sono
memore assai de' doni tuoi; rammento
la vita che mi desti. Avrai la sposa;
speralo pur. Nella palestra elea
non entro pellegrin. Bevve altre volte
i miei sudori; ed il silvestre ulivo
un insolito fregio. Io più sicuro
mai di vincer non fui. Desio d'onore,
stimoli d'amistà mi fan più forte.
d'esser già nell'agon. Gli emuli al fianco
mi sento già; già gli precorro; e asperso
dell'olimpica polve il crine, il volto,
del volgo spettator gli applausi ascolto.
sospirata Aristea!
                                  Che!
                                              Chiamo a nome
il mio tesoro.
                          Ed Aristea si chiama?
                    Altro ne sai?
                                             Presso a Corinto
nacque in riva all'Asopo. Al re Clistene
                        (Aimè! Questa è il mio bene).
                 Ed è tua speranza e tuo conforto
sola Aristea?
                          Sola Aristea.
                                                   (Son morto!)
Non ti stupir. Quando vedrai quel volto
forse mi scuserai. D'esserne amanti
non avrebbon rossore i numi istessi.
(Ah così nol sapessi).
                                        Oh se tu vinci,
chi più lieto di me! Megacle istesso
quanto mai ne godrà! Di', non avrai
piacer del piacer mio?
                                           Grande.
                                                             Il momento
Megacle di', non ti parrà felice?
Felicissimo. (Oh dei!)
                                          Tu non vorrai
al talamo nuzzial?
                                   (Che pena!)
                                                            Parla.
Sì, come vuoi. (Qual nuova spezie è questa
di martirio e d'inferno!)
                                              Oh quanto il giorno
lungo è per me! Che l'aspettare uccida
tu non credi o non sai.
                                          Lo so, lo credo.
già l'avvenir; già col desio possiedo
la dolce sposa.
                            (Ah questo è troppo!)
                                                                     E parmi...
Ma taci. Assai dicesti. Amico io sono; (Con impeto)
                   Perché ti sdegni? In che t'offendo?
(Imprudente che feci!) Il mio trasporto (Si ricompone)
è desio di servirti. Io stanco arrivo
da camin lungo; ho da pugnar; mi resta
picciol tempo al riposo e tu mel togli.
di spiegarti finora?
                                     Il mio rispetto.
Vuoi dunque riposar?
                                          Sì.
                                                  Brami altrove
                         No.
                                   Rimaner ti piace
qui fra quest'ombre?
                                         Sì.
                                                 Restar degg'io?
No. (Con impazienza; e si getta a sedere)
           (Strana voglia!) E ben, riposa. Addio.
Che intesi eterni dei! Quale improvviso
fulmine mi colpì! L'anima mia
dunque fia d'altri! E ho da condurla io stesso
in braccio al mio rival! Ma quel rivale
è il caro amico. Ah quali nomi unisce
per mio strazio la sorte! Eh che non sono
le leggi d'amistà. Perdoni il prence,
ancor io sono amante. Il domandarmi
ch'io gli ceda Aristea non è diverso
dal chiedermi la vita. E questa vita
di Licida non è? Non fu suo dono?
Non respiro per lui? Megacle ingrato,
e dubitar potresti? Ah se ti vede
con questa in volto infame macchia e rea
ha ragion d'abborrirti anche Aristea.
No, tal non mi vedrà. Voi soli ascolto
obblighi d'amistà, pegni di fede,
gratitudine, onore. Altro non temo
che 'l volto del mio ben. Questo s'eviti
formidabile incontro. In faccia a lei,
misero, che farei! Palpito e sudo
confondermi, tremar... No, non potrei...
Stranier. (Senza vederlo in viso)
                    Chi mi sorprende? (Rivoltandosi)
                                                         (Oh stelle!)
                                                                                (Oh dei!) (Riconoscendosi)
Ah sei pur tu. Pur ti riveggo. Oh dio!
Di gioia io moro; ed il mio petto appena
può alternare i respiri. Oh caro, oh tanto
e richiamato invano. Udisti alfine
la povera Aristea. Tornasti; e come
opportuno tornasti! Oh amor pietoso!
Oh ben sparsi finor pianti e sospiri!
(Che fiero caso è il mio!)
                                               Megacle amato,
E taci ancor? Che mai vuol dir quel tanto
cambiarti di color? Quel non mirarmi
che timido e confuso? E quelle a forza
lagrime trattenute? Ah più non sono
forse la fiamma tua? Forse...
                                                     Che dici!
Parlar non so. (Che fiero caso è il mio!)
Ma tu mi fai gelar. Dimmi; non sai
che per me qui si pugna?
                                                Il so.
                                                            Non vieni
ad esporti per me?
                                     Sì.
                                             Perché mai
Perché... Barbari dei! (Che inferno è questo!)
dubitar di mia fé. Se ciò t'affanna,
ingiusto sei. Da che partisti, o caro,
non son rea d'un pensier. Sempre m'intesi
la tua voce nell'alma. Ho sempre avuto
il tuo volto nel cor. Mai d'altri accesa
non fui, non sono e non sarò. Vorrei...
                         Vorrei morir più tosto
che mancarti di fede un sol momento.
(Oh tormento maggior d'ogni tormento!)
                  Che posso dir?
                                               Signor, t'affretta, (Esce frettoloso)
se a combatter venisti. Il segno è dato
che al gran cimento i concorrenti invita. (Parte)
Assistetemi, o numi. Addio mia vita.
E mi lasci così? Va'; ti perdono
pur che torni mio sposo.
                                              Ah sì gran sorte
non è per me! (In atto di partire)
                             Senti. Tu m'ami ancora?
Quanto l'anima mia.
                                        Fedel mi credi?
Sì, come bella.
                             A conquistar mi vai?
Lo bramo almeno.
                                   Il tuo valor primiero
                  Lo credo.
                                     E vincerai?
                                                            Lo spero.
caro, la sposa tua?
                                   Mia vita... addio.
l'esito non si sa?
                                No, bella Argene.
È pur dura la legge, onde n'è tolto
d'esserne spettatrici!
                                        Ah che sarebbe
forse pena maggior veder chi s'ama
in cimento sì grande e non potergli
porger soccorso, esser presente...
                                                             Io sono
presente ancor lontana. Anzi mi fingo
forse quel che non è. Se tu vedessi
come sta questo cor! Qui dentro, amica,
qui dentro si combatte; e più che altrove
qui la pugna è crudele. Ho innanzi agli occhi
i giudici, i rivali; io mi figuro
questi più forti e quei men giusti. Io provo
ciò ch'or soffre il mio ben, gli urti, le scosse,
gl'insulti, le minacce. Ah che presente
solo il ver temerei; ma il mio pensiero
fa ch'io tema, lontana, il falso e 'l vero.
Né ancor si vede alcun. (Guardando per la scena)
                                             Né alcuno... Oh dio! (Turbata)
Come palpito adesso!
                                         E la cagione?
Vedi Alcandro che arriva.
                                                Alcandro, ah corri; (Verso la scena)
Fortunate novelle. Il re m'invia
nunzio felice, o principessa. Ed io...
La pugna terminò?
                                     Sì, ascolta. Intorno
già impazienti...
                                Il vincitor si chiede. (Ad Alcandro)
Tutto dirò. Già impazienti intorno
le turbe spettatrici...
                                       Eh ch'io non cerco (Con impazienza)
                          Ma in ordine distinto...
Chi vinse dimmi sol. (Con isdegno)
                                         Licida ha vinto.
                Appunto.
                                    Il principe di Creta!
Sì, che giunse poc'anzi a queste arene.
(Sventurata Aristea!)
                                         (Povera Argene!)
sposo ti diè la sorte!
                                      Alcandro parti.
T'attende il re.
                             Parti, verrò.
                                                     T'attende
Né parti ancor! (Con isdegno)
                               (Che ricompensa ingrata!) (Parte)
v'è sotto il ciel chi possa dirsi, oh dio!
più misera di me?
                                    Sì. Vi son io.
provar mai le mie pene! Ah tu non sai
qual perdita è la mia, quanto mi costa
quel cor che tu m'involi.
                                              E tu non senti,
non comprendi abbastanza i miei tormenti.
né pietà né soccorso?
                                        Eterni dei!
Parmi Argene colei.
                                      Vendetta almeno,
vendetta si procuri. (Vuol partire)
                                       Argene, e come
Tu in sì ruvide spoglie!
                                            I neri inganni
dunque ancor tu venisti? A saggio invero
regolator commise il re di Creta
di Licida la cura! Ecco i bei frutti
di tue dottrine. Hai gran ragione Aminta
d'andarne altier. Chi vuol sapere appieno
se fu attento il cultor guardi il terreno.
(Tutto già sa). Non da' consigli miei...
v'è giustizia per tutti; e si ritrova
talvolta anche nel mondo. Io chiederolla
agli uomini, agli dei. S'ei non ha fede,
ritegni io non avrò. Vuo' che Clistene,
sappia ch'è un traditore, acciò per tutto
questa infamia lo siegua, acciò ch'ognuno
e con orrore a chi nol sa l'additi.
degni d'Argene. Un consigliero infido
anche giusto è lo sdegno. Io nel tuo caso
più dolci mezzi adoprerei. Procura
ch'ei ti rivegga; a lui favella; a lui
le promesse rammenta. È sempre meglio
che opprimerlo nemico.
                                             E credi, Aminta,
ch'ei tornerebbe a me?
                                            Lo spero; alfine
fosti l'idolo suo. Per te languiva,
delirava per te. Non ti sovviene
Tutto, per pena mia, tutto rammento.
Insana gioventù! Qualora esposta
ti veggo tanto agl'impeti d'amore
di mia vecchiezza io mi consolo e rido.
chi sta per naufragar. Non che ne alletti
il danno altrui ma sol perché l'aspetto
d'un mal che non si soffre è dolce oggetto.
non ha le sue tempeste? Ah che purtroppo
ha le sue proprie; e dal timor dell'altre
sciolta non è. Son le follie diverse
ma folle è ognuno; e a suo piacer n'aggira
l'odio o l'amor, la cupidigia o l'ira.
che in mezzo a tanta gloria umil ti stai,
lascia ch'io baci e che ti stringa al seno.
che un tal figlio sortì! (Se avessi anch'io
chi sa? sarebbe tal. Rammenti Alcandro
con qual dolor tel consegnai? Ma pure...)
(Tempo or non è di rammentar sventure). (A Clistene)
sarà del tuo valor. S'altro donarti
Clistene può, chiedilo pur, che mai
quanto dar ti vorrei non chiederai.
(Coraggio, o mia virtù). Signor son figlio
e di tenero padre. Ogni contento
è insipido per me. Di mie venture
giungergli apportator, chieder l'assenso
per queste nozze, e lui presente, in Creta
legarmi ad Aristea.
                                     Giusta è la brama.
senz'altro indugio. In vece mia rimanga
servo, compagno e condottier.
                                                        (Che volto
è questo mai! Nel rimirarlo il sangue
mi si riscuote in ogni vena!) E questi
chi è? Come s'appella?
                                           Egisto ha nome,
Creta è sua patria. Egli deriva ancora
dalla stirpe real; ma più che 'l sangue
l'amicizia ne stringe; e son fra noi
comuni a segno e l'allegrezza e 'l duolo
che Licida ed Egisto è un nome solo.
(Ingegnosa amicizia!)
                                          E ben, la cura
Egisto avrà. Ma Licida non debbe
partir senza vederla.
                                       Ah no. Sarebbe
pena maggior. Mi sentirei morire
nell'atto di lasciarla. Ancor da lunge
tanta pena io ne provo...
                                              Ecco che giunge.
(Oh me infelice!)
                                  (All'odiose nozze (Non vede Megacle)
come vittima io vengo all'ara avanti).
(Sarà mio quel bel volto in pochi istanti).
Avvicinati, o figlia, ecco il tuo sposo. (Ha per mano Megacle)
(Ah non è ver).
                              Lo sposo mio! (Stupisce vedendo Megacle)
                                                          Sì. Vedi
se giammai più bel nodo in ciel si strinse.
come il mio bene?... Il genitor m'inganna).
(Crede Megacle sposo e se n'affanna).
E questi, o padre, è il vincitor? (Additando Megacle)
                                                          Mel chiedi?
di polve asperso? All'onorate stille
che gli rigan la fronte? A quelle foglie
Ma che dicesti, Alcandro?
                                                Io dissi il vero.
Non più dubbiezze. Ecco il consorte a cui
il ciel t'accoppia; e nol potea più degno
ottener dagli dei l'amor paterno.
                         (Che martir!)
                                                     (Che giorno eterno!)
E voi tacete! Onde il silenzio? (A Megacle ed Aristea)
                                                        (Oh dio!
Come comincerò?)
                                     Parlar vorrei
è la presenza mia. Severo ciglio,
rigida maestà, paterno impero
sono agli amanti. Io mi sovvengo ancora
quanto increbbero a me. Restate. Io lodo
quel modesto rossor che vi trattiene.
(Sempre lo stato mio peggior diviene).
che farò sventurato!)
                                        (All'idol mio
è tempo ch'io mi scopra). (Piano a Megacle)
                                                 (Aspetta). Oh dio!
non celar che t'affligge.
                                            (Oh pena! Oh morte!)
non soffre indugio).
                                      Il tuo silenzio, o caro,
mi cruccia, mi dispera.
                                            (Ardir mio core.
Finiamo di morir). Per pochi istanti
allontanati, o prence. (A parte a Licida)
                                         E qual ragione...
Va'. Fidati di me. Tutto conviene
ch'io spieghi ad Aristea. (A parte a Licida)
                                               Ma non poss'io
esser presente?
                               No; più che non credi
delicato è l'impegno. (Come sopra)
                                         E ben; tu 'l vuoi,
io lo farò. Poco mi scosto. Un cenno
basterà perch'io torni. Ah pensa, amico,
di che parli e per chi. Se nulla mai
feci per te, se mi sei grato e m'ami,
mostralo adesso. Alla tua fida aita
la mia pace io commetto e la mia vita. (Parte)
(Oh ricordi crudeli!)
                                        Alfin siam soli.
il mio contento esagerar, chiamarti
luce degli occhi miei...
                                          No, principessa,
non son per me. Serbali pure ad altro
più fortunato amante.
                                          E 'l tempo è questo
di parlarmi così? Giunto è quel giorno...
Ma semplice ch'io son. Tu scherzi, o caro;
ed io stolta m'affanno.
                                          Ah non t'affanni
                          Spiegati dunque.
                                                            Ascolta;
ma coraggio Aristea. L'alma prepara
a dar di tua virtù la prova estrema.
Parla. Aimè! Che vuoi dirmi? Il cor mi trema.
mille volte d'amar più che 'l sembiante
il grato cor, l'alma sincera e quella
che m'ardea nel pensier fiamma d'onore?
Lo dissi, è ver. Tal mi sembrasti e tale
ti conosco, t'adoro.
                                    E se diverso
fosse Megacle un dì da quel che dici,
se spergiuro agli dei, se fatto ingrato
al suo benefattor morte rendesse
per la vita che n'ebbe, avresti ancora
amor per lui? Lo soffriresti amante?
L'accetteresti sposo?
                                       E come vuoi
Megacle mio sì scellerato?
                                                 Or sappi
se tuo sposo divien, Megacle è tale.
ecco ti svelo. Il principe di Creta
langue per te d'amor. Pietà mi chiede
e la vita mi diede. Ah principessa,
se niegarla poss'io, dillo tu stessa.
                         Per lui.
                                         Perder mi vuoi...
                        Dunque io dovrò...
                                                            Tu dei
coronar l'opra mia. Sì, generosa,
adorata Aristea, seconda i moti
d'un grato cor. Sia qual io fui finora
Licida in avvenire. Amalo. È degno
di sì gran sorte il caro amico. Anch'io
e s'ei t'acquista, io non ti perdo appieno.
Ah qual passaggio è questo! Io dalle stelle
precipito agli abissi. Eh no; si cerchi
miglior compenso. Ah senza te la vita
per me vita non è.
                                   Bella Aristea,
contro la mia virtù. Mi costa assai
il prepararmi a sì gran passo. Un solo
quant'opera distrugge!
                                            E di lasciarmi...
                        Hai risoluto! E quando?
Questo è l'ultimo addio.
                                             L'ultimo! Ingrato...
Soccorretemi, o numi! Il piè vacilla;
freddo sudor mi bagna il volto; e parmi
ch'una gelida man m'opprima il core. (S’appoggia ad un tronco)
mancando va. Più che a partir dimoro
Ardir. Vado, Aristea. Rimanti in pace.
Come? Già m'abbandoni?
                                                  È forza, o cara,
separarsi una volta.
                                      E parti...
                                                         E parto
lungi dagli occhi tuoi. (Megacle parte risoluto, poi si ferma)
                                          Soccorso... io... moro. (Sviene sopra un sasso)
Ah l'oppresse il dolor! Cara mia speme, (Tornando)
bella Aristea, non avvilirti; ascolta;
Megacle è qui; non partirò. Sarai...
Che parlo? Ella non m'ode. Avete, o stelle,
più sventure per me? No, questa sola
mi restava a provar. Chi mi consiglia?
Che risolvo? Che fo? Partir; sarebbe
crudeltà, tirannia. Restar; che giova?
Forse ad esserle sposo? E 'l re ingannato
e l'amico tradito e la mia fede
e l'onor mio lo soffrirebbe? Almeno
partiam più tardi. Ah che sarem di nuovo
a quest'orrido passo! Ora è pietade
l'esser crudele. Addio mia vita. Addio (Le prende la mano e la bacia)
mia perduta speranza. Il ciel ti renda
più felice di me. Deh conservate
questa bell'opra vostra, eterni dei;
e i dì ch'io perderò donate a lei.
Licida. Dove è mai? Licida. (Verso la scena)
                                                    Intese
tutto Aristea?
                           Tutto. T'affretta, o prence; (In atto di partire)
soccorri la tua sposa.
                                       Aimè! Che miro!
le oppresse i sensi. (Partendo come sopra)
                                     E tu mi lasci?
                                                                Io vado... (Tornando indietro)
Deh pensa ad Aristea. (Che dirà mai (Partendo)
quando in sé tornerà? (Si ferma) Tutte ho presenti
tutte le smanie sue). Licida, ah senti.
Che laberinto è questo! Io non l'intendo.
Semiviva Aristea... Megacle afflitto...
torna agli usati uffici. Apri i bei lumi,
principessa, ben mio.
                                         Sposo infedele! (Senza vederlo)
Ah non dirmi così. Di mia costanza
ecco in pegno la destra. (La prende per mano)
                                             Almeno... Oh stelle! (S’avvede non esser Megacle e ritira la mano)
Megacle ov'è?
                            Partì.
                                         Partì l'ingrato!
Ebbe cor di lasciarmi in questo stato!
Il tuo sposo restò.
                                  Dunque è perduta (S’alza con impeto)
l'amore, la pietà? Se questi iniqui
numi, i fulmini vostri in ciel che fanno?
Son fuor di me! Di', chi t'offese, o cara?
Parla; brami vendetta? Ecco il tuo sposo,
Tu quel Licida sei! Fuggi, t'invola,
nasconditi da me. Per tua cagione,
perfido, mi ritrovo a questo passo.
E qual colpa ho commessa? Io son di sasso!
Perfido a me? Voglio seguirla; e voglio
sapere almen che strano enigma è questo.
Fermati, traditor.
                                  Sogno o son desto! (Riconosce Argene)
l'abbandonata Argene. Anima ingrata,
che fu gran tempo il tuo piacer. Se pure
delle antiche sembianze orma vi resta.
mi sorprende costei! Se più mi fermo,
Aristea non raggiungo). Io non intendo,
bella ninfa, i tuoi detti. Un'altra volta
potrai meglio spiegarti. (Vuol partire)
                                              Indegno, ascolta. (Trattenendolo)
                           Tu non m'intendi? Intendo
ben io la tua perfidia. I nuovi amori,
le frodi tue tutte riseppi; e tutto
per tua vergogna. (Vuol partire)
                                   Ah no. Sentimi Argene. (Trattenendola)
se tardi ti ravviso. Io mi rammento
gli antichi affetti; e se tacer saprai,
forse... Chi sa.
                            Si può soffrir di questa
ingiuria più crudel? «Chi sa» mi dici?
Invero io son la rea. Picciole prove
le vie che m'offri a meritar perdono.
Ascolta. Io volli dir... (Vuol prenderla per mano)
                                        Lasciami, ingrato; (Lo rigetta)
non ti voglio ascoltar.
                                        (Son disperato).
io non mi vidi mai. Tutto è in ruina,
raggiungerla, placarla... E chi trattiene
la principessa intanto? Il solo amico
potria... Ma dove andò? Si cerchi. Almeno
Megacle mi darà. (Vuol partire)
                                   Megacle è morto.
purtroppo il ver.
                                Come? Perché? Qual empio
sì bei giorni troncò? Trovisi; io voglio
ch'esempio di vendetta altrui ne resti.
Principe, nol cercar. Tu l'uccidesti.
il ciel ch'io delirassi. Odimi. In traccia
mentre or di te venia, fra quelle piante
sento; mi fermo; al suon mi volgo; e miro
prono già s'abbandona. Accorro; al petto
con l'altra il ferro svio. Ma quando al volto
pensa com'ei restò, com'io restai.
Dopo un breve stupore: «Ah qual follia
io volea dirgli, ei mi prevenne. «Aminta,
dal profondo del cor. «Senza Aristea
non so viver né voglio. Ah son due lustri
che non vivo che in lei. Licida, oh dio!
m'uccide e non lo sa. Ma non m'offende.
Suo dono è questa vita, ei la riprende».
Oh amico! E poi?
                                  Fugge da me, ciò detto,
come partico stral. Vedi quel sasso,
signor, colà, che 'l sottoposto Alfeo
signoreggia ed adombra? Egli v'ascende
in men che non balena. In mezzo al fiume
si scaglia; io grido invan. L'onda percossa
balzò, s'aperse; in frettolosi giri
si riunì, l'ascose. Il colpo, i gridi
replicaron le sponde; e più nol vidi.
or si scopre al mio sguardo! (Rimane stupido)
                                                     Almen la spoglia
vadasi a ricercar. Da' mesti amici
questi a lui son dovuti ultimi uffici. (Parte)
Dove son! Che m'avvenne! Ah dunque il cielo
roversciò l'ire sue! Megacle, oh dio!
Megacle dove sei? Che fo nel mondo
senza di te! Rendetemi l'amico,
ingiustissimi dei. Voi mel toglieste,
lo rivoglio da voi. Se lo niegate,
barbari, a' voti miei, dovunque ei sia,
a viva forza il rapirò. Non temo
tutti i fulmini vostri; ho cor che basta
d'Ercole e di Teseo le vie di morte.
Olà. (Licida non l’ode)
            Del guado estremo...
                                                   Olà.
                                                              Chi sei
le smanie mie?
                              Regio ministro io sono.
Che vuole il re?
                               Che in vergognoso esiglio
quindi lungi tu vada. Il sol cadente
sei reo di morte.
                                A me tal cenno?
                                                               Impara
a mentir nome, a violar la fede,
a deludere i re.
                              Come? Ed ardisci
                        Non più. Principe, è questo
mio dover; l'ho adempito. Adempi il resto. (Parte)
il sen ti passerò... Folle che dico?
Che fo? Con chi mi sdegno? Il reo son io,
io son lo scellerato. In queste vene
con più ragion l'immergerò. Sì, mori
Licida sventurato... Ah perché tremi
timida man? Chi ti ritiene? Ah questa
è ben miseria estrema. Odio la vita;
m'atterrisce la morte; e sento intanto
in mille parti il cor. Rabbia, vendetta,
pentimento, pietà, vergogna, amore
mi trafiggono a gara. Ah chi mai vide
da tanti affetti e sì contrari? Io stesso
minacciando tremare, arder gelando,
bramar la morte e non saper morire.
Lasciami. Invan t'opponi.
                                                Ah torna, amico,
una volta in te stesso. In tuo soccorso
del pescator, ch'or ti salvò dall'onde,
credimi, non avrai. Si stanca il cielo
d'assister chi l'insulta.
                                          Empio soccorso,
inumana pietà! Negar la morte,
a chi vive morendo. Aminta, oh dio,
                   Non fia ver.
                                           Lasciami Argene.
                            Senz'Aristea non posso,
non deggio viver più.
                                         Morir vogl'io
dove Megacle è morto.
                                           Attendi. (A Megacle)
                                                             Ascolta. (Ad Aristea)
                            Che ascoltar?
                                                       Non si ritrova
più conforto per me.
                                       Per me nel mondo
non v'è più che sperar.
                                           Serbarmi in vita...
Indarno tu pretendi.
                                        Invan presumi.
Ferma. (Volendo trattener Megacle che gli fugge)
                 Senti, infelice. (Volendo trattenere Aristea come sopra)
                                              Oh stelle! (Incontrandosi in Megacle)
                                                                  Oh numi! (Incontrando Aristea)
                   Principessa!
                                            Ingrato! E tanto
s'io mi affretto a morir, tu torni in vita?
adorata Aristea, la mia sventura.
Io non posso morir; trovo impedite
tutte le vie per cui si passa a Dite.
Oh scellerato ardir!
                                     Vi sono ancora
nuovi disastri, Alcandro?
                                               In questo istante
rinasce il padre tuo.
                                      Come!
                                                     Che orrore!
se 'l ciel nol difendea, n'avrebbe involti!
                 Già sai che per costume antico
questo festivo dì con un solenne
sacrifizio si chiude. Or mentre al tempio
la sacra pompa a celebrar Clistene,
perché non so né da qual parte uscito
ci attraversa il camin. Non vidi mai
più terribile aspetto; armato il braccio,
nuda la fronte avea, lacero il manto,
scomposto il crin. Dalle pupille accese
uscia torbido il guardo; e per le gote
d'inaridite lagrime segnate
traspariva il furore. Urta; roverscia
i sorpresi custodi. Al re s'avventa:
«Mori» grida fremendo e gli alza in fronte
il sacrilego ferro.
                                 Oh dio!
                                                  Non cangia
il re sito o color. Severo il guardo
gli ferma in faccia; e in grave suon gli dice:
«Temerario! Che fai?» Vedi se 'l cielo
veglia in cura de' re. Gela a que' detti
il giovane feroce; il braccio in alto
sospende a mezzo il colpo; il regio aspetto
attonito rimira; impallidisce;
incomincia a tremar; gli cade il ferro;
minaccioso parea prorompe il pianto.
                  Oh folle!
                                    Oh sconsigliato!
                                                                   Ed ora
il genitor che fa?
                                 Di lacci avvolto
ha il colpevole innanzi.
                                           (Ah si procuri
E Licida che dice?
                                   Alle richieste
nulla risponde. È reo di morte e pare
che nol sappia o nol curi. Ognor piangendo
il suo Megacle chiama; a tutti il chiede,
lo vuol da tutti; e fra' suoi labbri, come
altro non sappia dir, sempre ha quel nome.
Più resister non posso. Al caro amico
per pietà chi mi guida?
                                             Incauto! E quale
sarebbe il tuo disegno? Il genitore
sa che Megacle sei. Perdi te stesso
presentandoti al re, non salvi altrui.
almen mi perderò. (Vuol partire)
                                     Senti. E non stimi
consiglio assai miglior che 'l padre offeso
vada a placare io stessa?
                                              Ah che di tanto
lusingarmi non so.
                                    Sì. Questo ancora
per te si faccia.
                              Oh generosa, oh grande,
oh pietosa Aristea! Facciano i numi
quell'alma bella in questa bella spoglia
lungamente albergar. Ben lo diss'io,
quando pria ti mirai, che tu non eri
cosa mortal. Va', mio conforto...
                                                          Ah basta;
mi costringe a voler ciò che tu vuoi.
la pietà d'Aristea. Chi sa se 'l padre
però si placherà! Troppa ragione
ha di punirlo. È ver; ma della figlia
lo vincerà l'amore. E se nol vince?
veder come l'ascolta. Argene, io voglio
seguitarla da lungi.
                                     Ah tanta cura
non prender di costui. Vedi che 'l cielo
è stanco di soffrirlo. Al suo destino
Lasciar l'amico! Ah così vil non sono.
sento pietade anch'io. Tento sdegnarmi,
ne ho ragion, lo vorrei; ma in mezzo all'ira,
mentre il labbro minaccia, il cor sospira.
dunque a tal segno? Ah no. Spergiuro! Ingrato!
la mia pietà. Mai più mirar non voglio
quel volto ingannator. L'odio; mi piace
di vederlo punir; trafitto a morte
non verserei per lui stilla di pianto.
Misero dove fuggo? Oh dì funesto!
Oh Licida infelice!
                                    È forse estinto
                            No; ma 'l sarà fra poco.
Non lo credere, Aminta. Hanno i malvagi
molti compagni, onde giammai non sono
poveri di soccorso.
                                    Or ti lusinghi;
non v'è più che sperar. Contro di lui
gridan le leggi; il popolo congiura;
fremono i sacerdoti; un sangue chiede
l'offesa maestà; de' sagrifici
che una colpa interrompe è il delinquente
vittima necessaria. Ha già deciso
il pubblico consenso. Egli svenato
fia su l'ara di Giove. Esser vi deve
l'offeso re presente e al sacerdote
porgere il sacro acciaro.
                                             E non potrebbe
rivocarsi il decreto?
                                      E come? Il reo
già in bianche spoglie è avvolto. Il crin di fiori
io coronar gli vidi; e 'l vidi, oh dio!
incaminarsi al tempio. Ah forse è giunto;
la bipenne fatal gli apre le vene.
Che giova il pianto?
                                      Ed Aristea non giunse?
Giunse; ma nulla ottenne. Il re non vuole
che ne andavano in traccia. Or l'ascoltai
di morir per l'amico. E se non fosse
ottenuto l'avria. Ma un reo per l'altro
morir non può.
                              L'ha procurato almeno.
Oh forte! Oh generoso! Ed io l'ascolto
senza arrossir? Dunque ha più saldi nodi
l'amistà che l'amore? Ah quali io sento
d'un'emula virtù stimoli al fianco!
Sì; rendiamoci illustri; infin che dura
parli il mondo di noi; faccia il mio caso
meraviglia e pietà; né si ritrovi
chi ripeta il mio nome a ciglio asciutto.
Fuggi, salvati, Aminta; in queste sponde
tutto è orror, tutto è morte. E dove, oh dio,
senza Licida io vado? Io l'educai
con sì lungo sudore; a regie fasce
io l'inalzai da sconosciuta cuna;
partir così? No. Si ritorni al tempio;
dell'oltraggiato re; Licida involva
si mora di dolor, ma accanto a lui.
Giovane sventurato, ecco vicino
de' tuoi miseri dì l'ultimo istante.
Tanta pietade, e mi punisca Giove
se adombro il ver, tanta pietà mi fai
che non oso mirarti. Il ciel volesse
che potess'io dissimular l'errore.
Ma non lo posso, o figlio. Io son custode
della ragion del trono. Al braccio mio
illesa o vendicata a chi succede.
necessario è così come è penoso
il dover con misura esser pietoso.
a desiar, fuor che la vita, esponi
libero il tuo desire. Esserne io giuro
fedele esecutor. Quanto ti piace,
figlio, prescrivi; e chiudi i lumi in pace.
non di giudice e re, que' detti sono,
non lo spero, nol chiedo e nol vorrei.
ch'io la vita pavento e non la morte.
pria di spirar. Già ch'ei rimase in vita,
d'abbracciarlo una volta e lieto io moro.
                            Signor, tu piangi? E quale
eccessiva pietà l'alma t'ingombra?
stupisco di me stesso. Il volto, il ciglio,
la voce di costui nel cor mi desta
che lo risente in ogni fibra il sangue.
la cagion ne ricerco e non la trovo.
Che sarà, giusti dei, questo ch'io provo?
di verace amistà. Megacle amato,
caro Megacle, vieni.
                                      Ah qual ti trovo,
                              Il rivederti in vita
mi fa dolce la morte.
                                       E che mi giova
voglio offrir per la tua? Ma molto innanzi,
Licida, non andrai. Noi passeremo
ombre amiche indivise il guado estremo.
O delle gioie mie, de' miei martiri,
finché piacque al destin, dolce compagno
separarci convien. Poiché siam giunti
quella destra fedel porgimi e senti;
vivi; io bramo così. Pietoso amico,
chiudimi tu di propria mano i lumi;
ricordati di me. Ritorna in Creta
al padre mio... (Povero padre, a questo
preparato non sei colpo crudele!)
raddolcisci narrando. Il vecchio afflitto
lo raccomando a te. Se piange, il pianto
e in te, se un figlio vuol, rendigli un figlio.
Taci. Mi fai morir.
                                    Non posso, Alcandro,
resister più. Guarda que' volti; osserva
que' teneri sospiri e que' confusi
fra le lagrime alterne ultimi baci.
Povera umanità!
                                 Signor trascorre
l'ora permessa al sacrificio.
                                                   È vero.
la vittima prendete. E voi, custodi,
dividete colui. (Sono divisi da’ sacerdoti e da’ custodi)
                             Barbari! Ah voi
avete dal mio sen svelto il cor mio.
Ah dolce amico!
                               Ah caro prence!
                                                              Addio. (Guardandosi da lontano)
O degli uomini padre e degli dei
il mar, la terra, il ciel, di cui ripieno
è l'universo, e dalla man di cui
pende d'ogni cagione e d'ogni evento
sacra vittima accogli; essa i funesti
che ti splendono in man folgori arresti. (Nel porgere la scure al sacerdote viene interrotto da Argene)
sacri ministri.
                            Oh insano ardir! Non sai,
ninfa, qual opra turbi?
                                           Anzi più grata
vengo a renderla a Giove. Una io vi reco
vittima volontaria ed innocente
di morir per quel reo.
                                          Qual è?
                                                           Son io.
(Oh bella fede!)
                               (Oh mio rossor!)
                                                                Dovresti
pel più forte morir non è permesso.
per lo sposo a una sposa. In questa guisa
serbò la vita Alceste; e so che poi
l'esempio suo divenne legge a noi.
di Licida consorte?
                                     Ei me ne diede
in pegno la sua destra e la sua fede.
son più folle di te. D'un regio erede
né son Licori. Argene ho nome; in Creta
chiara è del sangue mio la gloria antica;
e se giurommi fé Licida il dica.
                          (È l'esser menzognero
questa volta pietà). No, non è vero.
Come! E negar lo puoi? Volgiti, ingrato,
se me non vuoi. L'aureo monile è questo
ebbi da te. Ti risovvenga almeno
che di tua man me ne adornasti il seno.
(Purtroppo è ver).
                                   Guardalo, o re.
                                                                Dinanzi (Alle guardie che vogliono allontanarla a forza)
mi si tolga costei.
                                  Popoli, amici,
sacri ministri, eterni dei, se pure
n'è alcun presente al sacrificio ingiusto,
protesto innanzi a voi; giuro ch'io sono
morir per lui; né... Principessa, ah vieni,
udirmi il padre tuo.
                                      Credimi, o padre,
è degna di pietà.
                                 Dunque volete
ch'io mi riduca a delirar con voi?
Parla. Ma siano brevi i detti tuoi. (Ad Argene)
io tacerò. Van di tai fregi adorne
in Elide le ninfe?
                                  Aimè. Che miro! (Lo guarda e si turba)
                            Se 'l riconosco? È quello
che al collo avea, quando l'esposi all'onde,
il tuo figlio bambin.
                                      Licida. (Oh dio!
Tremo da capo a piè). Licida, sorgi;
l'ebbe in dono da te?
                                        Però non debbe
morir per me. Fu la promessa occulta;
non ebbe effetto e col solenne rito
l'imeneo non si strinse.
                                            Io chiedo solo
se 'l dono è tuo.
                              Sì.
                                      Da qual man ti venne?
A me donollo Aminta.
                                          E questo Aminta
il genitor degli anni miei la cura.
Questo Aminta si cerchi.
                                               Eccolo appunto.
Rispondi e non mentir. Questo monile
                            Signor, da mano ignota,
ch'io l'ebbi in don.
                                    Dov'eri allor?
                                                               Là dove
sbocca il torbido Asopo.
                                             (Ah ch'io rinvengo (Guardando attentamente Aminta)
qualche traccia in quel volto. Io non m'inganno;
certo egli è desso). Ah d'un antico errore, (Inginocchiandosi)
mio re, son reo. Deh mel perdona; io tutto
fedelmente dirò.
                                 Sorgi, favella.
non esposi il bambin; pietà mi vinse.
mi venne innanzi e gliel donai, sperando
tratto l'avrebbe.
                               E quel fanciullo, Aminta,
dov'è? Che ne facesti?
                                          Io... (Quale arcano
                             Tu impallidisci? Parla,
empio, di', che ne fu? Tacendo aggiungi
all'antico delitto error novello.
L'hai presente, o signor; Licida è quello.
Licida il prence?
                                 Il vero prence in fasce
finì la vita. Io ritornato appunto
con lui bambino in Creta, al re dolente
l'offersi in dono; ei dell'estinto invece
al trono l'educò per mio consiglio.
Oh numi, ecco Filinto, ecco il mio figlio. (Abbracciandolo)
              Io tuo figlio?
                                        Sì. Tu mi nascesti
gemello ad Aristea. Delfo m'impose
d'esporti al mar bambino, un parricida
minacciandomi in te.
                                         Comprendo adesso
l'orror che mi gelò, quando la mano
sollevai per ferirti.
                                    Adesso intendo
l'eccessiva pietà che nel mirarti
mi sentivo nel cor.
                                    Felice padre!
puoi render lieti.
                                 E lo desio. D'Argene
Megacle d'Aristea vorrei consorte;
ma Filinto, il mio figlio, è reo di morte.
Non è più reo, quando è tuo figlio.
                                                               È forse
permessa al sangue mio? Qui viene ogni altro
valore a dimostrar; l'unico esempio
esser degg'io di debolezza? Ah questo
di me non oda il mondo. Olà ministri,
risvegliate su l'ara il sacro fuoco.
Va', figlio e mori. Anch'io morrò fra poco.
Che barbara virtù!
                                    Signor, t'arresta.
Tu non puoi condannarlo. In Sicione
sei re, non in Olimpia. È scorso il giorno
a cui tu presiedesti. Il reo dipende
dal pubblico giudizio.
                                         E ben s'ascolti
dunque il pubblico voto. A pro del reo
non prego, non comando e non consiglio.
non rivolgere altrove, eccelsa Elisa.
Ubbidirò. Tu ascolterai, se m'odi,
(dura legge a compir!) voti e non lodi.
Veggano ancor ben cento volte e cento
i numerosi tuoi sudditi regni
questo giorno per te, per te che sei
la lor felicità, che nel tuo seno
le più belle virtù, come in lor trono,
l'una all'altra congiunte... Aimè! Perdono.
Voti in mente io formai; ma dal mio labbro
escon, per qual magia dir non saprei,
trasformati in tua lode i voti miei.
ho complice nel fallo; e, non sdegnarti,
mi par bello l'error. L'anime grandi
a vantaggio di tutti il ciel produce.
perché? se agli altri il buon camino insegna.
sono scuola a chi serve. Il grande esempio
persuade, ammaestra. Appresso al fonte
tutti non sono. È ben ragion che alcuno
disseti anche i lontani. Ah non è reo
ubbidisce agli dei, giova a' mortali.

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