Metrica: interrogazione
434 settenari (recitativo) in Demetrio Q 
al destinato loco
il popolo inquieto
Pur l'esempio primiero
a Talestri, a Tomiri
Perdonami, o regina;
al tuo genio confida
invan brama il momento
E ben, se tanto il regno
tante volte deluse
fur le nostre speranze
il termine è vicino
quando un sogno funesto,
Or dici che vedesti
or che dagli occhi tuoi
tutto il regno raccolto
Chi di serici ammanti
chi di sanguigne lane,
In su la fronte a questi
dalle tempia di quegli
Ma che pro tanta cura,
dall'aurora al meriggio,
a questa della notte
Irresoluta, incerta,
Purtroppo è ver, purtroppo
convien ch'io serva a questa
che suddito fedele
Lo so. D'illustri eroi
all'amorose faci
Alceste amato Alceste,
t'attendo invan. Barsene, (A Barsene che sopraggiunge)
qualche lieta novella
Non puoi senza periglio
manca il coraggio. Io sento
che alla ragion contrasta
più afflitta, più confusa,
A chi forse chiedendo
È ver. Ma il sacro nodo,
i reciprochi pegni
di due sposi discordi
E se tornando Alceste
che sarebbe di lui,
Qual pentimento avrei
intollerabil pena
di trovarmi infedele!
Le sue giuste querele,
ogni pensier sepolto,
fra le cretensi squadre
presente al duro caso
t'esporrebbe al cimento
Ritorni e a lui vicina
la lunga tolleranza
E scegliesti?
                         Non scelsi.
necessità mi porta
Infelice regina,
pietà sente Barsene
già misero abbastanza?
che 'l barbaro Alessandro
Sai che Demetrio oppresso
che pargoletto in fasce
che vive il real germe
o pur fole son queste?
e dividendo i baci
«Conserva il caro pegno
Or la ragion comprendo
che Demetrio vivea;
il nome di Demetrio
Dai Cretensi l'attendo
abbia di Creta, Alceste
ricuperasse il regno
alimentai l'affetto
tu coll'armi m'assisti.
il perdere una vita
sento per tenerezza
Non poteva un Alceste
ogni moto, ogni accento
con silenzio modesto.
di merti e di natali
cangiamenti in un'ora.
E ben, prendi, o regina,
Teco tanto indiscreta (A Cleonice)
Cleonice, potrai
Audace, e chi ti rese
dove giunger potrebbe
se mi scema vigore,
per la sua libertà
Non risvegliar ti priego
Sempre incerta sarei.
Tu palpiti, o cor mio,
Pur mi concede il fato
il piacer sospirato
Pur il ciel mi concede
che a te della mia fede
Felice me, se ancora
fra le cure del regno
E privata e sovrana
Oh quanto, Alceste, oh quanto
Sai che la mia partenza
la pugna, le tempeste,
Io sfortunato avanzo
su la scomposta prora
da cento parti il sangue
il lacero naviglio
ingombre le pareti
dittamo alle ferite
dopo lungo soggiorno
Oh strani eventi!
                                 Alfine
La Siria ha già diviso
tutto l'esser primiero,
Ma in quelle vene ancora
Ma qual de' tuoi maggiori
Non più. Nel mio comando
solo ai gradi supremi
sieda duce dell'armi,
lascia il peso, o regina,
sia di Siria o straniero
Siegui Olinto.
                            Non parli?
Io n'ho ragion. Né solo
E ben. Su questo trono (S’alza dal trono e seco tutti)
Libero il gran consiglio
sceglier mi lasci o soffra
Così de' tuoi trasporti
il commercio, l'esempio
saria placido, umile,
Nelle tue scuole il padre
Signor, quei detti amari
Io poco saggio invero
m'insulti, mi deridi
Chi di costui l'oscura
di Pelope o d'Alcide
del rustico natale
Dunque perch'io l'adoro,
Questo contrasto appunto
(Oh gelosia!)
                          Decise
senza che parli, intendo.
per te più che non credi
Il tuo voler sovrano,
in qualunque si scelga
Come! In sì brevi istanti
a tai prove d'amore
che non si penta il regno
Vedi come la sorte
appieno il tuo desio,
Tu sospiri? Io non vedo
Come perduto!
                              E vuoi
che siano i miei vassalli
sarà dunque misura
che la sua Cleonice
Non so se in faccia a lui
Or tempo è di costanza.
la mia bella regina
Posso dirti che mai
posso dirti che sei
dell'amor mio verace
In questa guisa, oh dio!
Son io quello che tanto
                         Intendo, intendo;
bastò la lontananza
Volesse il ciel? Qual colpa,
sian per me que' begli occhi
quel pallor, quei sospiri
la cagion di sì strano
È incostanza di lei?
Le smanie del tuo core
che più soffrir mi piace
cede ai colpi frequenti
Temo che l'idol mio
E tu per qual ragione
Attenderò fintanto
Son pure i detti miei
alla real dimora;
t'agghiaccia, io me n'avvedo.
Non è la mia regina
Fermati. (In atto d’entrare s’incontra in Mitrane)
                    Alceste, e dove?
Amico, a te l'ingresso
Ed è vero il divieto?
dille che a questo colpo
mi fa reo nel suo core;
ma tremi il traditore,
correrò disperato
Perdonate i trasporti
veder ne' mali suoi
se divenir felice
ancor nel regio stato
Felicità non credi
per massime sì grandi
Ma d'Atene e d'Egitto
il saper non bisogna
E puoi, Barsene amando,
compiacerti d'un trono
la perdita d'un core
Un'aura di fortuna,
Quanto deboli sono
Voglio vincermi e voglio
annunziar con un foglio
costretti a separarsi,
che a vicenda lagnarsi,
che ascoltare a vicenda
della prima vittoria,
più debole d'allora
Dunque per te degg'io
(Par che m'arrida il fato.
se la gloria resiste
Io nel caso di lei
di più non rivederti
che la ragion gli toglie,
sol di te si ricorda,
la vacillante mia
Alceste è figlio mio,
figlio della mia scelta,
custodita finora
cresciuta al fausto raggio
Regina, in me non sento
che possa a questo colpo
conforto al suo martire?
                 Bella regina,
Padre, regina, Alceste
Io gl'imposi in tuo nome
Si cerchi, si raggiunga,
un periglioso inciampo
sì geloso custode
Avresti mai potuto,
Signor, di Cleonice
Odia in un punto ed ama;
Così la tua sovrana
E allora, oh età felice!
non con tanto disprezzo
al consiglio dei saggi
Per appagar la strana
Barsene, altri pensieri
con più belle catene;
Di Barsene i disprezzi,
l'ire di Cleonice,
di rivedere Alceste,
d'annunziargli tu stessa
dopo tante vicende
l'assicurò; gli disse
fior che dal gelo oppresso
Ripieno è di speranza;
e al piacere improvviso
digli che venga. In queste
Magnanimi pensieri
turbamento ch'io provo
Questo, questo è il momento
Tornate, oh dio tornate;
dir che affretti un affanno
Ma se questa produce
la pena ch'io provai
s'è ver che posso ancora
per cui tanto rigore
Servo al sovrano impero.
Alceste, ami da vero
lo splendor della cuna,
Così bassi pensieri
rimproverar mi vuoi
ove nacqui, ove crebbi,
In Cleonice adoro
amo l'anima bella
che adorna di sé stessa
Da così degno amante
un magnanimo sforzo
che lieve non divenga
Lasciarti? Oh dei! Che dici?
il genio de' vassalli,
quella virtù che tanto
rende co' pregi sui
E con tanta costanza
Appaga la tua gloria;
contenta i tuoi vassalli;
porterò la memoria
ingrato Alceste.
                              Io sono
io sacrifico al fasto
la fede, i giuramenti
sfogati pur. Ma quando
(Oh dei, quanto si fida (Torna a sedere)
che per due lustri interi
fosti de' miei pensieri
quanto barbara sia
Ma in faccia a tutto il mondo
costretta Cleonice
Arbitra della scelta
ma credi tu che tanti
ingiustamente esclusi
agiteriano il regno,
compatisca ed ammiri
di due teneri amanti,
per la gloria capaci
Poco avrai da dolerti
Già da questo momento
Regna, vivi, conserva (S’alza e s’inginocchia)
se da un labbro sì caro
Sorgi, parti, s'è vero
che imprima il labbro mio
Sarete alfin contenti,
seminò fra i mortali
questa gloria tiranna
se costa un tal martire,
Regina, è dunque vero
che trionfar sapesti
Dunque è vero, o regina,
che avesti un cor sì fiero
Non ti credea capace
detesterà chi vanta
ammirerà chi sente
Vorrei renderti chiaro
Egualmente il mio core
Il tuo zelo eccessivo
Sensi così severi
nel cor d'una donzella
Parla. Saresti mai
talor gli occhi ad Alceste
vindici de' monarchi,
Favor chiedo e riparo
Sarò pure una volta
Ma no. Di sua dimora
cagion gli estremi uffici
Signor, procuri indarno (A Fenicio nell’uscire)
differisci per poco (Ad Alceste)
Resta. Del mio consiglio
il comando s'oppone.
che tal posso chiamarti
che attender non dovevi
Anch'io sperai crescendo
chiamarti un dì sul ciglio
Ma chi può delle stelle
forse così partendo
comunica sventure
prendano i giorni miei
l'ire della fortuna
se a te non giova, è un peso
Ah non merita Alceste
Chi sa quanto le costa
per l'ultimo congedo.
Alceste, assai diverso
Finché mi sei presente
Ma quando poi mi trovo
non vuol ch'io goda uniti
               Su queste arene
a respirare altrove
Cara, se avessi anch'io,
sarei, più che non sono,
ma i sudditi ed il regno,
Nel tuo povero albergo
Là non avrò custode
ma i sospetti gelosi
alle placide notti
Non fumeran le mense
ma i frutti ai rami tolti
d'incognito veleno
Andrò dal monte al prato
ma con Alceste a lato;
scorrerò le foreste
con te mi lascerà;
felicità sognate,
amabili deliri
Ma son vane lusinghe
Di ricusare un regno
celar bella regina
che fra tante vicende
Deh non perdiamo il frutto
delle lagrime nostre
quella che m'insegnasti
ma congiunta con quella
a noi vivere uniti
Deh perché qui raccolta
Parti ma prima ammira
vedrai com'io t'imito;
Di Cleonice i detti
Questo è un voler ch'io mora
Come! Per qual ragione?
vai cangiando desio.
Dunque ti vuol presente
per sopire i tumulti
Poco temuto io sono,
vedrò l'altrui fortuna;
In più dubbioso stato
che fuor del suo costume
dall'alto della reggia
Amico, ecco il soccorso
far palese alla Siria
chiedo l'ultime prove
cauto t'adopra e cela
Di gran novella, o padre,
Ei lo sperò ma invano.
queste reali insegne
del fortunato avviso
cari a Fenicio sono
Né pensò la regina
quanto ineguale a lei
più senno e maggior fede
la magnanima donna
fa mentire i maligni;
le gelose tempeste
gli amici impazienti,
rimangano un momento.
più col nome di figlio
esser non puoi. Son queste
io tanto ben perdei?
che m'inondan le gote
signor, perché celarmi
dal contento impensato
non parlarmi per ora.
Io Demetrio! Io l'erede
di mia sorte dubbioso
Chi t'assicura, Alceste,
che la Fortuna stolta
                       Io nascosi
già sposa Cleonice,
più opportuni di questi
che parlando una volta
Questa piccola speme
or del tutto è delusa;
ben ravvisai gran parte
ma un nemico sì caro,
ma il rifiuto d'un trono
Quanti portenti il fato
La prima volta è questa
Fra tanti beni e tanti
la suddita son io
Va', Demetrio. Ecco il soglio
è Seleucia, o regina.
                 Sai che poc'anzi
che Fenicio l'inganna,
con sicurezza andate;
si scoprirà l'erede
tutte l'armi cretensi
                 Leggasi il foglio. (Ad Olinto)
ravvisar nol poteste,
Su quel trono una volta
Potria d'altero fiume
chi nel giorno, che splende
Sarà muto ogni labbro,
le scene imitatrici
che non chiami ogni sguardo
Ah che il silenzio istesso

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