Metrica: interrogazione
256 settenari (recitativo) in Attilio Regolo Q 
fra la plebe e i littori
di Regolo la figlia
dov'è chi non sospiri
degno d'un cor romano
d'avvalorar con questa
Non risvegliam tumulti
da Cartagine in Roma
già s'adunano i padri
di Regolo il riscatto
che appunto in questo stato
mi vegga, si confonda,
                 Parti.
                              Ah né pure
Manlio, per pochi istanti
con stupor della terra,
meritò da' Romani
onde i figli e sé stesso
chi quest'aure respira
là fabbricar più volte
chi gli adornò di tante
insegne pellegrine
Questi, questi littori
qual faccia empio governo
per lui cambio o riscatto
sia gloriosa a Roma
forse puoi render vano,
Nulla dunque mi resta
Da che incerte vicende
                   Il padre.
                                     Ah, Barce,
                        Publio... (Vedendolo venire)
                                          Germana...
Sai che questor degg'io
gli stranieri oratori
ch'indi in parte si scopre,
fosse il Senato e dove
come Roma l'accoglie,
chiamar l'intesi! E a quanti
imperfetta saria
tal pietà di mia sorte
Mi prevedo funesta
Dunque è ver che a momenti
d'Amilcare all'aspetto,
Venga Regolo e venga
a pagar col suo sangue
che a sì barbare pene
per te questo soggiorno?)
Di Cartago il Senato (Al console)
il console sì poco?
No; ma Roma si scorda
il rigor di sue leggi
fra le pubbliche cure
che se nulla otterrai
(Di lui si tratta. Oh come
La nemica Cartago
de' vostri e suoi prigioni
                            Il cambio asconde
mille danni ravvolge
il valor, la costanza,
Qual pro che torni a Roma
di sangue ostil digiune
del vincitor lo scherno
Sia pur dannoso il cambio,
a compensarne i danni
che ne trionfa invano,
(Oh inudita costanza!)
(Oh coraggio funesto!)
Questi barbari, o padri,
Armatevi, correte
a sveller da' lor tempi
Fate ch'io là tornando
(La maraviglia agghiaccia
Mi trema il cor).
                                Domanda
più maturo consiglio
il voler del Senato
l'assistenza de' numi
Sì, Regolo. Io non veggo
se periglio maggiore
o se maggior periglio
In questa guisa adempie
Signor! (Come sopra)
                 Su questa mano... (Vogliono baciargli la mano)
Scostatevi. Io non sono
al soggiorno prescritto
Questa troppo severa
                     Ah mia Barce! (Ritornando indietro)
parla, pria che di nuovo
Or l'amor de' congiunti,
Che barbaro destino
pur di nuovo a Cartago
ma follia de' mortali
Publio? Tu qui! Si tratta
della gloria di Roma,
che a fabbricar m'adopri
t'inganni! Al par d'ogn'altro
della patria col danno
Virtù col proprio sangue
considerar sé stesso
a fabbricar s'affanna
Han tanti doni, è vero,
d'inospite foreste
troppo eroica costanza
del genitor lo scempio.
Se stranier, non posporre
                         Io nol sono,
l'avverso genio antico
Dell'alme generose
così nobile acquisto
vincitor de' nemici
destan rispetto. Allora
un eroe, lo confesso,
Conservarti io pretendo
dal rischio d'un'offerta
Ma il ricusato cambio
sì terribil risuona
viver più non potei,
della patria il vantaggio
Or de' propizi numi
della patria il decoro,
mossi te condottiero
Difesi la tua vita
Come parlò! Che disse!
                     E chi resiste
come ride in quel volto
pure una volta...
                                E ardisci (Serio e torbido)
Delle pubbliche cure
al tuo fato inumano...
Ma di'; credi o Licinio
che mai di me nascesse
il dover nostro ed altro
di crudel, d'inumana
Que' rimproveri acerbi
Vivrà; cessi quel pianto;
tornatevi di nuovo
della cieca fortuna
è prodiga all'eccesso
Or l'infelice oggetto
di nembi il ciel ripieno;
d'Africa i mostri orrendi
in periglio sì grande
non è dell'alme nostre
toglie il senso al dolore,
lo spavento a' perigli,
i feroci costumi;
Ha deciso il Senato?
che far su queste arene;
chi poté fin che visse
pianger, Publio, dovria
Di quei barbari, o padre,
a trattener rimanti
una viril costanza
d'inspirarle procura
con l'esempio fortezza;
Sì. Decise il Senato;
Dov'è Regolo? Io voglio
che a lei non è permesso...
dal colpo inaspettato
cagion del suo coraggio.
Forse affinché il Senato
tutta l'arte e l'ingegno.
                Taci; e m'ascolta.
Sai che l'arbitro io sono
già dal Senato in dono
Barce più della vita
di sì vili sospetti
Tu non m'odi, idol mio! (Ad Amilcare)
               A salvarti il padre. (Ad Attilia)
Ma come? (Ad Amilcare)
                      a' mali estremi (Ad Attilia)
No; per te tremerei. (Ad Attilia)
si trattenga o si mora. (Parte)
               Attilia!
                               Che dici?
esser ponno funesti
                                   Attilia,
pur di speranza un raggio.
Rassicurar procuro
l'alma d'Attilia oppressa;
Ebbi assai più coraggio
Ma che si fa? Non seppe
forse ancor del Senato
Regolo, non avesti
Pretenderne maggiori
per me pietosa cura;
tu di lor con usura
debbano e a' tuoi consigli
Or sì più non mi resta...
                              Che avvenne?
che un vergognoso cambio
grida che fé non dessi
voglio partir. Potea
della pace o del cambio
Degli auguri il decreto
che quest'impeto io vada
La tua gloria desio
E tanto or costa in Roma,
tutto lasci all'amico
di sì gran beneficio
che solo al Tebro in riva
non nascono gli eroi,
Sia. Non è questo il tempo
t'appresta alla partenza.
È gloria l'esser grato?
questo dover s'adempie
del proprio onor geloso,
io generoso ancora
        Come!
                       A te lasciando
celati sol fintanto
quindi l'ancore io sciolga.
                      E ben che dici?
custodi... (Agli africani)
                    Alcun non parta. (a’ medesimi)
                 Grato io ti sono
        Sì. Come disponi
Amilcare, i Romani?
Senza cangiar d'aspetto
Magnifiche parole,
raduna i tuoi seguaci;
E Publio non ritorna!
fida a' consigli tuoi,
né obbligar può sé stesso
chi l'altrui forza accusa.
Io giurai perché volli;
che ardisca opporsi ancora
ai pallidi littori
in tumulto sì fiero
l'onor di mie catene,
molto al nome di figlia,
d'un gran trionfo il vanto,
È ver. Ma tal costanza...
Tu mi lasci sdegnato;
ormai su queste ciglia
sorga al paterno sdegno;
ed Attilia non sia
del popol, del Senato,
              Più di rispetto, (Come sopra)
come al paterno vanto
No. Che Regolo parta
                  Basta; io non venni
sgombrate il passo. (I littori inalzando le scuri tentano avanzarsi)
                                      Il passo
contrastando con lui.
                         Udite. (Al popolo)
si vuol? Si vuole in Roma?
chi formò? Chi nudrilli?
signor, quel che pretende
de' posteri l'esempio,
il rossor de' nemici,
se di queste mi privo,
A perfidi giurasti;
all'Arabo ed al Moro
Ma che sarà di Roma
non può versar per lei
posso l'annoso stame
so che nel cor m'applaude;
più non tardate il corso
favor da voi domando;
Ecco ogni destra inerme!)
Amilcare alle navi;
io sieguo i passi tui.
Fate che sempre in esse
minaccia al Campidoglio

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